mercoledì 8 aprile 2015

"Il mio nome e Shangai Joe" di Mario Caiano







     Appena sbarcato a San Francisco, Shangai Joe (Chen Lee) gironzola nel quartiere cinese. Gorgheggiando con la voce di Ferruccio Amendola rifiuta tre lavori contemporaneamente. Il lavoro cercato non è di certo uno di quelli che avrebbe potuto tranquillamente fare in Cina. Joe Cerca qualcosa di diverso, qualcosa che può trovare in Texas.
 Arrivato nello stato del rodeo, la nostalgia di casa l'assale. Decide di farsi cucinare un succulento piatto di riso in bianco da un locandiere. I bifolchi texani, che assistono a questo limoncello che si nutre usando le bacchette, cominciano a deriderlo. Joe, per non mostrare di essere uno di quei cinesi chiusi e barbicati nella propria cultura, decide di far propria la tradizione occidentale e di usufruire della forchetta. Tal arnese vien però utilizzato per ferire i tre bifolchi, insieme a un piatto, uno yo-yo e al kung fu.
 Recatosi in un ranch per cercare lavoro, viene nuovamente sbeffeggiato. Non era certamente un periodo facile per gli agrumati nel profondo sud americano. Dopo aver superato alcune prove ottiene, non proprio in maniera gandhiana, un cavallo. Riesce comunque a sistemarsi in un altro ranch. Dopo una rissa, causata da una vincita a poker con citazione di Trinità annessa, è costretto a partire nuovamente.
 La voce di un cinese in giro per il Texas, a dissodare non campi ma pallide chiappe, vola di bocca in bocca fino a raggiungere il mandriano Spencer, che decide di assumerlo come cowboy da guardia delle sue bestie. I quadrupedi sono in realtà bipedi. Per la precisione sono peones contrabbandati dalla frontiera e ingaggiati da Spencer che poi vende le licenze ai coltivatori dell'Est. Joe si ribella a questo sfruttamento e comincia la sua lotta contro il crudele Spencer.





 La parte iniziale, ovvero fino alla comparsa di Spencer, può presentare una sottile vena comica. Ciò è dovuto soprattutto al personaggio di Joe. Noi non siamo abituati alla presenza di un orientale in un western, specialmente se stereotipato come Joe. Il doppiaggio di Ferruccio Amendola, unito alla fisionomia e alla statura di Joe, non può che farci venire in mente Dustin Hoffman o Al Pacino che imitano un cinese o un Nico Giraldi da far west infiltrato tra gli immigrati mandorlati. Le risse che si susseguono presentano sempre un elemento comico. La mensola usata come giogo a tre, la forchetta stigmatoria, il salto della staccionata e l'imbracatura stile bebé.




 La parte iniziale abbiamo detto. Dopo il discorso cambia. Ce lo mostra lo stesso Spencer questo cambiamento di direzione. Egli lo fa con uno sport tipico nello spaghetti western, il tiro al segno col peone. Sport utilizzato da Corbucci in Django, col tiratore fermo e il bersaglio mobile, ed evolutosi con Fulci. In Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro si ha la caccia al peone, variazione più equestre e cruenta data la partecipazione di cani abbastanza famelici. In Il mio nome e Shangai Joe si ha una fusione tra tiro a segno statico e impiccagione.
 Si avrà quindi un'escalation di violenza sempre più estrema a cui parteciperanno anche Pedro il Cannibale, Sam il Becchino, Trik il Baro e Scalper Jack. Quest'ultimo, interpretato da un Klaus Kinski più comunicativo del solito, sembra quasi un Mr. Blonde con l'hobby dello scalping. Egli donerà venature ancora più sadiche, nonostante la sua apparizione sia preceduta da trappole che sembrano uscite dalla guerriglia del Vietnam, occhi strappati e corride gladiatorie. Il suo è un sadismo anche e soprattutto psicologico. I suoi movimenti e il suo sguardo racchiudono un'energia potenziale capace di far rabbrividire.
 L'opera si insinua in canali sotterranei, assumendo quei toni gotici tipici di Margheriti ma unendovi la velocità mortale del kung fu.

Il mio nome e Shangai Joe rientra nel genere spaghetti marziali descritto in maniera sublime da Lucius Etruscu nel suo saggio "Spaghetti marziali. Quando gli italiani inventarono il kung fu western".





4 commenti:

Lucius Etruscus ha detto...

Devastante e sublime, è un film che rappresenta il meglio e il peggio del Made in Italy. Però era un prodotto venduto nel mondo, al contrario della robaccia italiana di oggi...

Ivano Satos ha detto...

La virata a metà film è veramente pazzesca.
Da sorgente cretiva della cinematografia ora siamo diventati solo una possibile location per la cinematografia straniera

Ciccio Russo ha detto...

Film grandioso, tra i western italiani più estremi e deliranti insieme a Se sei vivo spara. Peccato che Caiano abbia fatto così poco.

Ivano Satos ha detto...

Condivido in pieno Ciccio. Caiano ha avuto la capacità di cimentarsi in generi diversi sempre con uno sguardo estremo. Se sei vivo spara ha reso straziante lo spaghetti western in maniera indimenticabile