giovedì 29 ottobre 2015

Ken Parker "La Lunga Pista Rossa" n°17





     Ken Parker è alla ricerca di due bambini apache. Furono affidati a una coppia che poi decise di "donarli" a un uomo benestante che si trovò a passare da loro. Il fine dei due coniugi era quello di continuare a beneficiare del sussidio statale destinato ai due bambini, ma assicurando a questi un futuro roseo con quel benefattore...




 In realtà i due bambini sono finiti nelle mani di un saltimbanco che li usa per spillare soldi nelle varie cittadine in cui si reca con il suo carro. Per fortuna una maestra assiste allo spettacolo e costringe il bruto a liberare le dolci creature per farle visitare da un medico. Entrambi hanno contratto la difterite, la più piccola è morta e il dottore cerca di salvare il bambino più grande.




 Ken Parker giunge troppo tardi a Leadville, nella contea di Springfield, sia per salvare i bambini sia per fare giustizia. Il saltimbanco è stato infatti assassinato nei dintorni della cittadina. Quella morte violenta non sarà l'ultima che si abbatterà sulla cittadina innocente.
 Una puntata ricca di assalti, agguati e assedi, ma anche di un messaggio mai cosi attuale...




mercoledì 28 ottobre 2015

"Una Donna Chiamata Apache" di Giorgio Mariuzzo







     Una pattuglia di soldati fa irruzione in un campo dove alcuni indiani, fuggiti dalla riserva, si sono accampati.
 Il cambio di inquadrature, dalla gestualità dei soldati e quella degli indiani, mostra sin dall'inizio la differenza tra le due culture. I bianchi che in maniera quasi ossessiva-compulsiva ritualizzano i gesti della battaglia imminente, gli apache che invece mostrano una gestualità quotidiana pacifica.
 Un madrigale di odio si riversa su quel campo, ritmato dai colpi di pistole e fucili. Tommy (Al Cliver), un pivello proveniente dalla città, cade quasi subito da cavallo. Egli viene abbandonato quando i suoi commilitoni, inseguiti dai guerrieri della tribù appena giunti al villaggio, decidono vigliaccamente di ritirarsi, dopo aver ucciso vecchi, donne e bambini. (video)
 Ripresosi dalla caduta, Tommy scopre una ragazza sopravvissuta al massacro. La ragazza si chiama Sunsirahe (Yara Kewa), ma per facilitare le cose Tommy decide di chiamarla semplicemente Apache. In mezzo a quel macello di cadaveri giunge Honest Jeremy (Corrado Olmi), una specie di sciacallo giunto a ripulire le carcasse. Messo k.o. Tommy, Jeremy carica tutti i beni, compresa la ragazza, sul carro e si allontana.
 Poco dopo, Tommy si risveglia con un peso in testa ma con il corpo alleggerito... pronto per un pellegrinaggio degno dei carmelitani scalzi.
 Nel vecchio West il furto è soggetto al karma, il quale si estende sullo stesso Jeremy. Lo sciacallo viene infatti pestato dai suoi due "soci", Keith Frankie (Rocco Oppedisano), per rispettare una corretta divisione dei beni. Sunsirahe non condivide questo socialismo pallido a carico del suo corpo, fugge quindi mezza nuda dopo aver rubato uno dei cavalli.
 Tommy, sperduto e scalzo, si unisce alla fuga di Sunsirahe e alle sue peripezie.




 Durante il viaggio, Tommy vivrà un rapporto conflittuale con la ragazza. Sunsirahe è per lui una salvatrice, poiché senza di lei non riuscirebbe a sopravvivere in quelle terre selvagge, ma contemporaneamente lei appartiene a quella stessa razza di uomini che massacra i suoi commilitoni. Questo conflitto nasce soprattutto dal suo senso di colpa per essere un sopravvissuto, ma tale non per qualità proprie bensì per passiva fortuna e dipendenza dalla stessa Sunsirahe. I suoi movimenti sgraziati e la sua inadeguatezza ben contrastano con l'eleganza di lei.




Contrasto che diventa ben più estremo se prendiamo in considerazione i personaggi incontrati dalla coppia. Il viaggio picaresco mostrerà un'America costellata da una popolazione di psicopatici che andranno a costituire le folle stazioni verso Fort Cob, meta dell'errare di Tommy.
 Queste stazioni hanno come contraltare il legame sempre più stretto che si verrà a creare tra Tommy e Sunsirahe.




lunedì 26 ottobre 2015

Hubert Corbin - Deserto di paura






     Grant Waronker, sceriffo della contea di Owens, ferma la sua volante, una nuovissima Chrysler Cirrus, per contemplare la magia del deserto. Una bellezza aspra e maestosa che lo ingloba con la sua essenza silenziosa ed estatica.  
 Lo sceriffo non ha di certo sprecato la benzina pagata dai contribuenti per sollazzarsi con quel paesaggio, che nonostante gli anni trascorsi in quella contea continua a stregarlo. Egli si trova presso la statale 50, che collega Hallock a Haydenton, per un motivo di pura strategia. Coloro che vogliono evitare di passare da Haydenton, nonché da sotto lo sguardo dello sceriffo, usano una stradina sterrata proveniente da Silver Pass. Stradina che passa proprio da quelle parti.
 Una vecchia Subaru, con una nube di polvere a strascico e un nero alla guida, gira proprio per quella stradina dirigendosi verso Hallock. La posta ha dato i suoi frutti. La caccia può cominciare.
 Dopo un inseguimento acrobatico e aromatizzato alla cordite, il fuggitivo viene educatamente convinto ad arrendersi: «Prova a muoverti e ti trapasso il cervello. Ci siamo capiti?»
  Cecil Edolphus Rice, questo il nome del nuovo prigioniero dello sceriffo Waronker, dovrà rispondere alla giustizia del New Mexico per il furto di quella Subaru, ma il suo conto con la contea di Owens è un po' diverso. Il danno apportato alla Chrysler Cirrus dello sceriffo, durante l'inseguimento da urlo, ammonta a 489 dollari e 54 centesimi, pezzi e manodopera compresi. Il giovane dovrà quindi lavorare per pagare il danno arrecato, ma anche le spese di soggiorno ammontanti a diciassette dollari al giorno, fino al giorno del processo. Tenendo conto che il giudice è un ufficiale itinerante, dovrà aspettare almeno un mesetto...
 Rice viene condotto in ciò che sarà la sua "casa" per almeno un mese, cioè un fazzoletto di terra circondato da filo spinato, provvisto di due tende militari e di un secondino col volto sfigurato che sembra uscito da una copertina di Man's Story o Men Today, dove psicopatici nazisti torturavano donnine succinte. Potrà usufruire di ben due brande, al momento è l'unico ospite, al quale verra legato la notte, in tal modo si risparmiano le spese per una guardia notturna, e di acqua per due volte al giorno, erogata ogni volta per mezz'ora. Nel campo esiste per fortuna un'unica regola ben espressa dal guardiano Bert: «C'è solo una regola: non devi mai rompermi i coglioni. Tutto qui. Hai capito?»
 Rice non è affetto dalla sindrome di Stoccolma o dal complesso dello zio Tom, è naturale quindi che la sua prossima mossa sarà fuggire da quel luogo a ogni costo. 
 E' la scelta più logica per un uomo privato dei suoi diritti, ma farlo in una zona in cui i villici son quasi in procinto di assaltare gli edifici statali, per protestare contro le disposizioni federali che hanno vietato la caccia agli animali di grossa taglia, non è certamente molto salutare. Se poi hai la pelle nera puoi risvegliare certi sport non ancora dimenticati...




Hubert Corbin narra di un Nuovo Messico in cui gli abitanti non hanno cessato di essere pionieri. Se prima essi giungevano stremati e sorretti unicamente dalla fede in un futuro migliore, oggi sono pionieri di nuove strategie di sopravvivenza. Il Nuovo Messico non è più quel ricco giacimento di argento e nuove strade economiche devono essere percorse. Strade non sempre facili, comunque non sempre pure come l'allevamento, l'agricoltura e il turismo. Hubert Corbin ci mostra, in Deserto di paura, una cittadina di frontiera corrotta come quelle che popolavano il vecchio West. Una cittadina popolata certamente da persone per bene, ma in cui si sviluppano quelle escrescenze tipiche dei luoghi in cui la sopravvivenza risulta difficile e la distanza dalla "civiltà" fa dimenticare alcuni principi tanto esaltati durante l'osannato saluto alla bandiera. Escrescenza che ben si inseriscono in quel white trash che rende folkloristica ogni cittadina isolata, che sia della frontiera o dell'entroterra.
 La caccia diviene un percorso iniziatico. Lo spazio infinito del deserto si trasforma in un alveale trasparente nelle cui cellette i vari personaggi trasmutano. Nel bene e nel male, quegli uomini cominceranno ben presto a perdere brandelli della propria umanità, fondendosi sempre di più con un paesaggio arido e selvaggio, ma contemporaneamente si renderanno conto della propria vulnerabilità. Cacciare un uomo non è come cacciare un muflone o un cervo, ma anche la natura di notte non è così passiva come il giorno. Di notte la natura torna a essere quel velo d'insicurezza che lambiva un uomo molto più rispettoso del suo potere. Nel deserto sono tutti prede.
 Quando si da inizio a una battuta di caccia, un'unica preda non basta mai...

giovedì 22 ottobre 2015

Ken Parker "Butch L'implacabile" n°16





New Mexico meridionale. Nel volume 14° di Ken Parker, abbiamo visto che le informazioni viaggiano spesso tramite volantini, ma certe informazioni bisogna estrapolarle in maniera più creativa e transculturale...




 Nel West tutto ha valore e le informazioni possono permettere a due banditi di avere un santo protettore nell'esercito. Un santo che può chiudere facilmente un occhio innanzi a rapine e massacri.




 Per molti il West è la terra promessa, ma in essa non vige la legge israelita per cui le colpe dei padri ricadranno sui figli. Nel West le colpe del singolo ricadono sulla moltitudine e sui figli altrui!


mercoledì 21 ottobre 2015

Brad Barron - "TERRA DI FRONTIERA", speciale n°02





     Brad Barron è una serie nata in casa Bonelli dal desiderio di onorare la fantascienza degli anni '50, quella fantascienza il cui sguardo era volto al cielo e in attesa  paranoica di un invasione aliena, già avvenuta comunque per il senatore McCarthy... La serie è frutto anche dall'autodeterminazione a guarire dalla sindrome della "Series Ininterruptus".  La sua durata viene infatti fissata a diciotto albi mensili, a cui si aggiungeranno quattro numeri speciali.
 La Bonelli, consapevole della crisi dell'editoria, decise quindi di creare dei numeri agili che potevano anche essere letti in autonomia, fornendo quindi i punti essenziali della storia nelle pagina introduttiva di ogni numero.




 L'intera serie può essere vista come un omaggio alle riviste pulp, lo stesso Brad Barron è ricalcato sull'eroe di queste storie. Storie i cui generi si fondono e si legano. Non ci sarà solo la fantascienza in questa serie, vivremo infatti incursioni nell'horror, nell'hard boiled e nel western.
 Proprio al genere western è dedicato lo speciale n°02 intitolato "Terra di frontiera", e pubblicato nel marzo del 2009.  Il soggetto e la sceneggiatura sono di Tito Faraci, i disegni di Walter Venturi.




  Brad Barron si reca, insieme alla moglie e alla figlia, nella baita della foresta di Clarksville, nel Kentucky. Una bella vacanza ci vuole per la famiglia Barron, ma sarà veramente una pura e semplice gita?
 Quando un uomo convince le donne di casa a fare una vacanza le possibilità sono due, senso di colpa o doppi fini. Brad è un uomo tutto di un pezzo, un eroe fedele alla propria moglie. Rimane quindi solo una possibilità...
 Il suo amico e giornalista Daniel Millard ha scoperto la presenza di tracce di Morb, gli alieni invasori, risalenti a quasi un secolo prima. Tracce situate nei pressi del Lago di Green Valley.




Ma l'esercito dei Morb è un esercito dell'acqua, della terra e del cielo...




 Nella classica tematica western della terra sotto il giogo di un politico/imprenditore corrotto e senza scrupoli, la storia vede l'emergere di creature mostruose, che si abbattono sull'uomo con tutta la loro forza distruttrice, lasciando corpi su cui risultano esposti segni inquietanti.




lunedì 19 ottobre 2015

Stefano Di Marino - Wild West: Rinnegati





    Val Verde, Texas. 1870. Il saloon è una bolla sospesa nell'afa del Texas. Una bolla di pace in cui regna sopita un'energia potenziale pronta a scattare. Muscoli tesi come quelli di un puma, ma anche sinuosi come quelli di una giovane vedova. Di guai la vedova Stoner ne ha passati parecchi, ma ora è venuto il momento del riscatto. L'importante è giocare bene le proprie carte, magari convincendo qualcuno a giocare una mano in coppia e a lasciar stare il frustrante solitario.
 La vedova avrebbe proprio bisogno di quel forestiero intento ad ascoltare il fruscio delle carte. Il fumo del suo sigaro è come se fosse un'ulteriore frontiera in quella terra al limite. Una frontiera personale il cui valico risulta letale.
 Il saloon è una bolla sospesa in un Texas in cui i Chiricahua di Cochise e Victorio imperversano come una piaga biblica, contenuta a malapena da quella rete di forti, che come termitai si ergono in quel paesaggio selvaggio e conteso. Le giacche blu non devono temere solo i Nativi, i chomancheros sono sempre all'erta per sferrare i loro attacchi ovunque ci sia sentore di dollari. Sono come quei cani delle praterie, sempre sull'attenti a fiutar informazioni. Pronti a sparire nelle loro tane, per poi ricomparire dove meno te lo aspetti. Pronti a sferrare i loro attacchi mortali.
 Con il primo episodio della serie Wild West, "Rinnegati", Di Marino ci travolge con un'avventura adrenalinica in una frontiera geografica ed esistenziale. Ogni personaggio è in bilico tra passato e presente, una genesi persistente in cui il futuro appare labile come un miraggio. Un passato che grava su ognuno come un mausoleo predittivo, il quale può assumere le fattezze di una guerra sanguinaria e fratricida o quelle pompose e soffocanti di una famiglia il cui nome tuona in quegli spazzi fin troppo aperti.
 Di Marino, con una sublime accuratezza storica, ci mostra cosa ci aspetterà nei prossimi episodi di questa saga. Il Texas da lui disegnato è uno Stato composto da  troppi poteri in conflitto tra loro. Trame sotterranee che rischiano di far sprofondare quel territorio così strategico ma anche folle come un cavallo idrofobo.

Intervista a Stefano Di Marino da parte di Lucius Etruscus
Presentazione della serie Wild West da parte di Mario Raciti

giovedì 15 ottobre 2015

Ken Parker "Uomini, Bestie Ed Eroi" n°15





 Ken e Pam giungono a Dodge city, posta tra fiumane di vacche e di uomini che sulle vacche ronzano come mosche. Qui non si parla solo dei laboriosi cowboy, ma anche di quei perdigiorno che si avventano in ogni luogo in cui vi sia sentore di denaro, alcool e donne. Persone diciamo non proprio evolute.
Anche Ken Parker e Pam, arrivati in città per cercare degli uomini disponibili a condurre una mandria nel Sud Dakota, non  sono proprio normali. Infatti anche loro si uniranno a una gita turistica particolare, chi incentrata sui vaccari...




...chi sui quartieri più oscuri.




 L'avventura di Ken Parker affronta tutti quei temi cari al nostro amato Louis L'Amour, come il desiderio di riscatto, la sfida con la natura, la coesione tra i cowboy e la lotta per le ingiustizie. Il rapporto che si instaura tra i cowboy, durante le lunghe traversate, diviene un modo per disegnare non solo personalità dai tratti contrastanti, ma anche ferite di storie dimenticate e strazianti. Tutto condito con la solita ironia, ma anche con cariche fordiane e sparatorie impreviste.




mercoledì 14 ottobre 2015

"Wild West. Inizia una nuova saga digitale" di Lucius Etruscus






Wild West

Inizia una nuova saga digitale

di Lucius Etruscus


Il western è più vivo che mai e non conosce limiti di “formato”. Come scrivo da anni, la nascita dell’editoria digitale ha riportato in vita quello che nel Novecento chiamavano pulp e nell’Ottocento chiamavano feuilleton: la narrativa d’intrattenimento in piccolo formato ad uscita regolare, pensata per appassionare lettori d’ogni tipo.
Come il blog Kentucky Mon Amour testimonia da tempo, non mancano romanzi e racconti in eBook più o meno legati ai dettami del western – anche contaminato – ma ora la Delos Digital presenta una nuova collana digitale di puro genere classico: “WildWest” è il suo titolo ed è curata da un nome d’eccezione come Stefano Di Marino.
È impossibile spiegare in poche righe la carriera di uno dei più versatili e prolifici narratori italiani, potrei invitarvi semplicemente a consultare la sua sterminata pagina Wikipedia, ma un paio di cose vorrei dirle. Per esempio che trovate ancora in edicola lo speciale di Segretissimo “Il Professionista Story 11”, con una ristampa e un inedito con protagonista Chance Renard, il Professionista: storico personaggio action di Di Marino che ha compiuto ormai vent’anni di vita editoriale. Così come trovate ancora lo speciale “Noisiamo Legione”, dove Di Marino e gli altri autori “sotto copertura” della collana raccontano un’avventura inedita del loro personaggio d’elezione.

Molti ti conoscono come autore di romanzi action e spy, ma nel tuo cuore c’è sempre stato spazio per il West: quando è nata la tua passione per questo genere?
Da ragazzino. Negli anni ’60-’70 la produzione avventurosa per ragazzi era prevalentemente western, nei fumetti, al cinema e c’erano anche molti romanzi nelle collane per giovani. Al di fuori di Emilio Salgari o di altri classici come “I Tre Moschettieri” e “Ivanhoe”, la mia formazione è avvenuta prevalentemente in questo filone che, comunque, è assai ricco di spunti.

Il 2015 sembra un’età moderna ma in fondo siamo come sempre in un’epoca di frontiera: quale credi sia il motivo per cui il genere western, tra alti e bassi, sia ancora vivo e vegeto?
Come diceva una volta Ivo Milazzo, il creatore di Ken Parker, il West è una metafora dei nostri tempi. Ci consente di parlare di cose moderne, ambientandole in un universo leggendario, metastorico.

Raccogliendo l’eredità del pulp di inizio Novecento, nasce la tua collana “Wild West” per Delos Digital: puoi raccontarci qualcosa di questa iniziativa?
L’idea è nata all’inizio dell’estate (anche se questo inverno avevo già scritto un romanzo che leggerete tra qualche mese per dbooks.it) durante una conversazione con Franco Forte che mi chiedeva di elaborare qualche nuovo progetto. Mi disse che gli sarebbe piaciuto il West. Ho preso la palla al balzo perché, tra film e fumetti, non ho mai smesso di frequentare il genere. Mi sono riletto un po’ di “I Grandi Western” Longanesi, giusto per ritrovare il linguaggio, poi ho svolto una ricerca nella mia libreria che ha un ricco scaffale dedicato all’argomento e mi sono messo al lavoro. L’idea è quella di seguire lo schema delle stagioni dei telefilm. Cinque episodi che riuniti formano un romanzo.

In un periodo in cui si sviluppano contaminazioni, il tuo sarà un western “classico” o una rielaborazione moderna?
Lo strillo pubblicitario dice “Tra Leone e Tarantino” e sicuramente c’è un po’ di verità, però ho voluto scrivere un western come quelli che mi appassionavano da ragazzo. Un western militare che un po’ ricorda certi film di Gordon Douglas o di John Ford, i romanzi di Gordon D. Shirreffs. Ci sono alcuni elementi legati al western all’italiana e, perché no, a quello post moderno di Quentin Tarantino, ma si tratta essenzialmente di una avventura tradizionale ambientata in un verosimile 1870. Se poi il West vero non era proprio così, come diceva John Ford, nei western quando la storia incontra la leggenda, la seconda vince sempre.

Sarà come per “Dream Force”? Una collana cioè dove ospiterai anche altri autori?
No, il concetto è diverso. Questa è una miniserie che gestisco personalmente con meno uscite ma scritte tutte da me. So poi che altri autori come Michele Tetro hanno proposto delle loro vicende western ma che saranno slegate.

So che sei un grande collezionista di libri, fumetti e film: c’è qualche “chicca western” che vuoi condividere?
C’è moltissimo in effetti. Se volete entrare nello spirito vi consiglio di rileggere la serie “Bouncer” di Alejandro Jodorowsky con i disegni di François Bouq [in Italia, MagicPress 2012, Editoriale Cosmo 2013]. Come testo di consultazione, mi hanno appena regalato un bellissimo libro di Rupeirut sugli Apaches, pubblicato negli anni ’90 da Mursia. E se girate nelle bancarelle non fatevi sfuggire quei deliziosi volumetti verdi dei “Grandi Western Longanesi”. Erano magnifici.

Per finire, puoi consigliarci un fumetto western che ti è capitato di leggere ultimamente?
Una serie che ho conosciuto questa estate e della quale uscirà a novembre il secondo album. Fumetto franco-belga con un disegno che ricorda quello di Blueberry. Si chiama “Undertaker” e i testi sono di Xavier Dorison, quello di Long John Silver.




martedì 13 ottobre 2015

"Il mostro degli Hawkline" di Richard Brautigan. L'esilarante weird western di due killer e della loro missione in un castello stregato, tra alchimie e possessioni.







      Miss Hawkline è completamente nuda nella sua casa situata nell'est Oregon, mentre il fuoco proietta su quello splendido corpo le ombre degli strumenti musicali che invadono la stanza. Ombre che quasi ballano al ritmo degli ululati dei coyote.
 Proprio in quel momento Green e Cameron, due killer su commissione, stanno uccidendo un cinese a Chinatown, San Francisco. Ben presto le loro vite si incroceranno con quelle della ignuda dama dell'Oregon, ma non per ammazzare la bella Miss Hawkline. Lei ha un problema un po' delicato. Un problema che Green e Cameron possono risolvere.
 Il viaggio dei due sicari diviene uno studio antropologico e "geopolitico" in un'America delirante dove l'omicidio può derivare da un furto di galline o dal diritto a vivere delle pecore...
Non sono solo gli assassini di uomini e di pecore a rendere folcloristica l'America di Richard Brautigan. Ogni uomo incontrato è un'ostrica che nasconde una perla di follia, o una stalla di cavalli freak...
 Tutte queste eccentricità vengono contate e archiviate dalla mente di Cameron. Lui è il contabile ossessivo-compulsivo del gruppo. Che si tratti di spari, di gemiti orgasmici, di vomitate in aereo, impiccati, fori di proiettili su una croce o di qualsiasi altra cosa, lui la conta e la memorizza.
 Green e Cameron sono come uno Sherlock Holmes e un dott. Watson ottunti, le loro diatribe dialettiche originano associazioni verbali che farebbero disperdere in un vortice di connessioni lo stesso Freud.
 Anche i dialoghi con Miss Hawkline risultano assurdi. Una volta entrati in quella casa la pazzia che ha caratterizzato il viaggio diventa esacerbante. Quella casa, su cui soffia l'alito distorcente di una creatura soprannaturale, appare come la fusione tra il castello di "Frankenstein Junior" e quello di "Invito a cena con delitto".
 Paranoia, ilarità ed esperimenti si uniranno in una danza alchemica che risuonerà nelle fondamenta di ghiaccio di quel castello, regno incontrastato di una creatura in grado di controllare ogni cosa intorno a lei. Riusciranno Green e Cameron a porre fine a quella tirannia e a scoprire che diavolo di fine ha fatto il padre di Miss Hawkline?
"Il mostro degli Hawkline. Un western gotico" di Richard Brautigan, 204 pagine, 2008, Isbn Edizioni

domenica 11 ottobre 2015

"Condenados a vivir" (Cut-Throats Nine, 1972) di Joaquin Luis Romero Marchent. L'agghiacciante paella westerns tra Fulci e Leone.





 Questa recensione nasce grazie alla segnalazione del gentilissimo Mario Raciti, autore dei fantastici blog Western Campfire e Libreria Western, se siete appassionati di West e western non potete che divorarli. Mario è anche autore dell'ebook "Dizionario dei film western", oltre che creatore, organizzatore e curatore della collana “Ombre Bianche”, edita da Villaggio Maori.
 "Condenados a vivir" , che non è stato distribuito in Italia, è disponibile su dailymotion in lingua inglese, visione che ho alternato alla lettura dei sottotitoli tradotti, in maniera selvaggia, dal portoghese. Ho deciso quindi di sintetizzare l'intera trama per evitarvi di bestemmiare in forma poliglotta con sfumature dadaiste ma anche futuriste. Potete quindi leggere la recensione per intero o saltare improvvisamente verso la mia umilissima analisi dell'opera. Io vi consiglio comunque la visione del film, anche dopo aver letto la trama che nella parte finale viene notevolmente condensata. Buona lettura e buona eventuale visione.



     Il sergente Brown (Claudio Undari), insieme alla figlia e a una guarnigione di soldati, è un moderno caronte che trasporta, su una distesa di neve, un intero girone infernale diretto a Fort Green. In quell'eterogeneo gruppo di assassini bastardi è condensato il Male del West. Crudeli comancheri di montagna, incendiari, ricattatori, rapinatori, falsari, stupratori, ecc. Ma tutti colpevoli di omicidio!
 Tra di essi vi è anche il responsabile della morte e dello stupro a carico della moglie del tenente. Brown non sa con certezza chi di quelle bestie si sia macchiato di quel delitto, ma uno di loro ne è certamente il colpevole.
 I soldati scrutano il paesaggio, consapevoli che se nel carro è incatenato l'inferno momentaneamente domato, in quelle terre selvagge c'è un Male ancora libero e forte. Ben presto quel Male sorge dalla neve con una risata che risuona tra le montagne innevate. I fuorilegge pensano che in quella diligenza ci sia dell'oro diretto dalle miniere al forte. Disarmati i soldati, il capo si accorge di quel carico umano non proprio allettante. Ma l'oro deve pur esserci da qualche parte! Non basta cercare in ogni nascondiglio e neanche spaccare la testa delle guardie con il calcio del fucile, dell'oro non vi sono tracce.
 Il carro con i prigionieri viene trascinato dai cavalli imbizzarriti per quel macello di morte e sangue. Il sergente Brown cerca di tranquillizare i cavalli, ma resosi conto dell'impossibilità di tornare a controllare il carro decide di saltare giù insieme alla figlia. Raggiunto il luogo in cui il carro si è distrutto, dopo essersi capovolto numerose volte,  il sergente diviene consapevole che se non è riuscito domare il carro deve riuscirci per forza con quegli quegli uomini prossimi ormai alla rivolta. Con una rivoltella e un machete,  non  è un problema che richiede troppo energia.
 Brown scorta quella carovana di prigionieri appiedati verso Fort Green. La strada è lunga e la figlia Sarah (Emma Cohen) comincia ad avere paura.




 I due cavalli, costretti a percorrere quel terreno accidentato, si azzoppano uno dopo l'altro. Brown è costretto a ucciderli entrambi. Ma non solo i cavalli vengono uccisi quando non possono più camminare. Il prigioniero Slim, trasportato a spalla dai compagni a causa di una frattura alla gamba, viene ucciso nel sonno. Costretti da Brown a portare la salma in spalla, una sorta di contrappasso per il loro crimine, lo arrostiscono quando, a detta loro, comincia a puzzare. La scena è aghiacciante e terrorizza Sarah anche per quel cannibalismo non mostrato ma probabilmente effettuato da quegli uomini ormai affamati.
 I galeotti scoprono accidentalmente che le catene che li legano tra loro sono fatte d'oro. La gioia esplode tra quegli uomini denutriti e feriti, almeno fino a quando comprendono di non essere diversi da quei cavalli ormai morti. Loro sono solo degli animali da soma per un carico mimetizzato. Il loro odio per il sergente non può che aumentare visto che è anche responsabile della morte dei suoi camerati. Brown riesce comunque a rimettere sempre in riga quelle perle di carne tenute insieme da uno spesso filo di oro.
 Sarah sembra quasi compressa tra l'egoismo di quegli uomini e il comportamento sadico del padre, il quale non esita a sparare a bruciapelo alla testa di uno dei prigionieri rifiutatosi di proseguire il cammino. Quel corpo, riverso a terra con un occhio che straripa da quel volto deturpato, è testimone della rabbia che possiede ormai il padre, desideroso più di farsi giustizia da solo che non di condurre quegli uomini al loro destino giuridico. Questo fattore rafforza il suo legame con uno dei prigionieri, Dean Marlowe, con cui nasce un'incessante gioco di sguardi.




 Il calvario di quegli uomini diviene il calvario del loro aguzzino. E' come se vi fosse una continua proiezione tra l'egoismo di quegli uomini e i sentimenti di Brown, diretti non certo ai galeotti ma a sua figlia e ai cavalli. Il sergente dovrà portare ora sulle sue spalle il corpo della figlia, che rischia di morire per l'ipotermia. Lui però quel corpo non può ne abbandonarlo ne privarlo di quel flebile respiro. E' questo che rende il cammino di Brown più simile a un viaggio verso il Golgota rispetto a quel pellegrinaggio dei forzati verso la speranza rapace di un'avvenimento che possa renderli liberi.
 Momento che non tarda ad arrivare visto che il sergente è ormai sfinito e i prigionieri sono riusciti a raggiungere un capanno di tronchi. Il potere è ora passato di mano.




Dopo aver ridotto il padre in una maschera di sangue, i galeotti decidono di divertirsi un po' con Sarah. L'intervento di Dean per proteggerla scatena la rabbia degli altri. Avuta la meglio su di lui, i fuggitivi  possono avere quel corpo desiderato durante tutto il viaggio. Brown osserva disperato la scena, fino a quando perde i sensi e sviene.
 La capanna viene data alle fiamme, mentre il sergente, legato a una trave, osserva, ormai privo di qualsiasi desiderio di vita, il fuoco che lo circonda. Fuoco che lo consuma lentamente fino a mostrarci un corpo carbonizzato.
 I fuorilegge continuano il loro cammino, mentre Dean cerca di sostenere la sempre più sconvolta Sarah. Proprio lui eliminerà il suo stupratore, John "Weasel" McFarland, strangolandolo con la stessa catena che ancora unisce i loro corpi, anche se non per molto.
 Arrivati a un binario, i fuggitivi si stenderanno in maniera tale da permettere al treno di liberarli da quel vincolo aureo in maniera leoniana.
 Ray Brewster, delirante dopo aver bevuto dell'alcool trovato nel capanno, viene catturato dalla famiglia di rapinatori incontrati a inizio film. Questi, scoperto il valore delle catene, costringono Ray a condurli verso il rifugio degli altri fuggitivi. Durante il viaggio egli riesce a impossessarsi di un fucile e a uccidere i rapinatori. Ormai ferito gravemente, Ray muore stringendo il suo oro.
Gli altri tre fuggitivi raggiungono, insieme a Sarah, una locanda. Qui trovano due soldati ubriachi che riesco facilmente a disarmare. Durante la notte, Joe Farrow accoltella l'oste, il quale cerca di contenere l'eviscerazione comprimendosi al ventre i visceri fuoriusciti. Ray, non ancora soddisfatto, afferra un gancio e lo infila nella schiena del moribondo, issandolo poi con una fune e una carrucola.




 Sarah, approfittando della distrazione dei fuggitivi, tenta di liberare i soldati legati nella stalla. Scoperta da Thomas, che comincia a percuoterla, viene difesa nuovamente da Dean. Mentre i due si pestano a sangue, Joe interviene uccidendo Dean con dei fendenti alla schiena.
 Dean, ormai in procinto di morire, rivive quel passato che condannerà per sempre la sua anima. Il dolce ragazzo, che ha donato la vita per difendere Sarah, è infatti il responsabile della morte di sua madre. Uccisa squarciandole il ventre.




Sarah veglia il corpo senza vita del suo amato fino a quando non sta per sopraggiungere la diligenza proveniente da Fort Green. Thomas e Joe l'hanno attesa per tutta la notte, avendo intenzione di impossessarsene per poter fuggire oltre la frontiera.
Sfruttando il diversivo, Sarah si avvicina a una cassa di esplosivo lasciata dai soldati. Acceso un candelotto, ella fa ritorno al corpo di Dean, attendendo l'epilogo della sua vendetta.




Joaquín Luis Romero Marchent dà origine, attraverso  Cut-Throats Nine, a una splendida commistione di generi che viene spesso paragonata a quelle del Fulci, autore che con "Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro" e "I Quattro Dell'Apocalisse" ha reso ipertrofica la componenete exploitation degli spaghetti western.
 Il sangue fuoriesce da ferite che paiono vortici formatisi in una palude, tanto vigoroso e il suo moto. Esso sgorga copioso anche da quelle mutilazioni che permettono al cordone d'oro di continuare il suo cammino, come un Pollicino in disfacimento. Vedremo infatti caviglie mozzate per abbandonare quei corpi privi di vita che zavorrano il cammino.
 Oltre a Fulci vi sono naturalmente anche legami con Sergio Leone, citato nella scena del treno, per una forte emersione mnemonica presente in questo paella western.
 L'alternanza tra dolore e derisione, tra rispetto per la vita, anche animale, e fredda crudeltà, è associata a un'altra alternanza, quella temporale. Vedremo infatti sia il sergente Brown sia il prigioniero Thomas Lawrence (Alberto Dalbés) dispersi nella gioia di un tempo che fu. Ormai lontano. Ormai perso. Un tempo che continua a vivere, ma sublimato in odio verso i reietti o verso tutti gli uomini. Brown e Lawrence, entrambi figli del dolore, hanno preso decisioni diverse su come far sfiatare quella pressione insopportabile.
 Questi ricordi rappresentano uno degli elementi onirici del film, ma la vera componenete visionaria è raggiunta durante il delirium tremens di Ray, in cui una certa "resurrezione" ci ricorda l'inizio di "Mannaja" e la vendetta di "The Dark Valley".




 "Cut-Throats Nine" è come una pennellata ematica sulla natura violenta e crudele dell'uomo, da qui il titolo di nove tagliagole, ovvero i sette criminale più Brown e la figlia, ma contemporaneamente un'esaltazione dell'espiazione grazie alla figura di Dean. Questo rapporto è un elemento ormai classico nei film in cui vi è un'interazione prolungata tra criminali e innocenti, anche se qui si instaura una sorta di inversione. Il legame è infatti una sorta di sindrome di Stoccolma al contrario, ma in realta il vero ostaggio è sin dall'inizio la piccola Sarah, trascinata in un percorso di isolamento e dolore sin dalla prima parte del film.




giovedì 8 ottobre 2015

Ken Parker "Ranchero!" n°14





 Nel vecchio West tutte le notizie viaggiavano su volantini. Anche Ken Parker e Pat si fanno trascinare dalle speranze urlate da un volantino: <<I pascoli più a buon mercato di tutto il West>>.
 Non è che Ken ci creda molto, anche perché a buon mercato non vuol dire gratis. Pat però ci crede, come crede nella predisposizione di Ken a prendersi cura degli animali...




Pat comunque ha ragione, Ken riesce ad addomesticare ogni forma di animale...



...tranne Pat naturalmente. Proprio lei riesce a coinvolgere Ken nell'acquisto di un ranch, il "P.O. Ranch". Ok, Ken Parker non ha una dollaro per poter entrare nell'affare, però un uomo fa sempre comodo se devi allevare un'intera mandria di bovini.
 Un vero affare se non fosse per un piccolo dettaglio, nel West non puoi mai vivere tranquillamente in un ranch. Ci sono sempre discussioni e punti di vista da difendere con i denti!




lunedì 5 ottobre 2015

Il Wendigo tra antropologia, psichiatria, narrativa e cinematografia, attraverso Algernon Blackwood e Larry Fessenden, passando da Stephen King a Emanuela Monaco.







     Il Dottor Cathcart, di Aberdeen, è a caccia di alci. Con lui ci sono la sua guida,  Hank Davis, suo nipote Simpson, studente di teologia, e la guida di quest'ultimo, Joseph Défago. Défago è un canadese francofono abituato alla vita solitaria nella natura selvaggia, uno spirito romantico entrato in simbiosi con essa. Per lui i paesaggi desertici sono l'unico lenitivo contro la malinconia che lo possiede quando è costretto a interagire con la "civiltà".
 Ultimo membro della spedizione è Punk, un indiano fidato che aveva accompagnato Cathcart e Hank nelle passate battute di caccia. Lui è il cuoco della spedizione.
 Questo gruppo così eterogeneo inizia, nell'ultima settimana di ottobre, una battuta di caccia che li dovrebbe condurre fino a nord della città di Rat Portage.
Dopo una settimana passata senza trovare tracce di alci, Hank decide di cambiare strategia. Lui e il dottore avrebbero raggiunto il Il Garden Lake dirigendosi verso ovest, mentre Défago e Simpson avrebbero dovuto attraversare il lago con la canoa e quindi appostarsi tenendo a tiro la sponda sud del Fifty Island Water. Quel piano getta un ombra scura sul viso di Défago.  Quella notte, qualcosa di impalpabile  invade il campo, destando Punk dal suo giaciglio e lasciandolo per un attimo ad annusare l'aria e ad ascoltare come in attesa.
 La mattina dopo, il gruppo si divide, tranne Punk che resta a guardia del campo. Raggiunta la postazione, Défago decide di fare un giro di perlustrazione. Simpson, ormai solo, vive direttamente la possessione di quei territori selvaggi. La sensazione di esser vergati dalla potenza della natura, apre nuovi orizzonti nella mente dello studente di teologia. Al ritorno di Défago, Simpson non può che constatare un'aumento nel rispetto provato per quell'uomo. Un uomo in grado di leggere i messaggi della natura e quindi, come un autodidatta discepolo di Comenio, il volere di Dio. Uomo che improvvisamente, come un segugio, inizia ad annusare l'aria. Prima assumendo una posa drammatica, poi fingendo indifferenza. Simpson non riesce a capire cosa stia succedendo. Forse, la prolungata solitudine nella natura, induce un aumento della sensibilità di alcuni uomini, rendendoli soggetti a sbalzi d'umore o alla malinconia per una vita passata amata e abbandonata precocemente. Questo fino a quando anche lui non comincia a sentire qualcosa di strano...
 Il racconto di Algernon Blackwood utilizza il concetto romantico di natura selvaggia ribaltandolo, trasformandolo in un legame quasi di metabolizzazione dell'individuo.  La natura, fonte battesimale di purificazione, diviene scenografia infernale. Il concetto Waldeniano di abbandono della civiltà per una crescita esistenziale superiore, viene qui sconvolto rivelando una mutazione, innanzi alla natura, priva di qualsiasi controllo. Una modificazione sensoriale e un'alterazione percettiva che diventano somatiche. L'ipersensorialità, educata dalla fruizione della natura, diviene esponenziale e paragonabile agli esperimenti di stimolazione luminosa per indurre attacchi epilettici. La fusione agognata e invidiata da Simpson, si trasforma in una possessione non solo spirituale ma in grado di bruciare la stessa anima.
 L'uomo diviene un'entità compressa da quella natura che si spoglia di quell'apparenza di mondo misterioso ma conosciuto attraverso le leggi delle scienza, che dominano il mondo civile come quello selvaggio. Essa riacquista il potere che innalzava di fronte all'uomo selvaggio, prostrato al cospetto del suo potere, potere reso esponenziale dall'ignoranza dell'uomo bianco, la cui ragione e un velo talmente esile da aprirsi alla brezza proferita dal richiamo della natura.
 Attraverso quest'opera, Blackwood riversa sull'uomo bianco il mito algonchino del Wendigo, ponendo elementi fondamentali che saranno utilizzati da tutti gli autori che useranno questa entità. Questo spiega il motivo per cui ho voluto introdurre l'analisi multidisciplinare del Wendigo attraverso il suo racconto. Tra parentesi integrazioni di altre fonti.
    Il Dottor Cathcart e  Hank Davis ci spiegheranno infatti che il Wendigo è un'entità super umana gigantesca (la cui statura cresce attraverso il nutrimento di carne umana). La sua presenza è svelata da un odore pungente e acre, simile a quello dei leoni (o in certi casi a quello cadaverico). Un odore che riesce a indurre un malessere tra ebrezza e intossicazione, causando una sensazione di vertigini. Altri elementi che segnalano la sua presenza sono l'assenza di animali nelle vicinanze e un richiamo irresistibile. Il Wendigo è semplicemente il richiamo della foresta personificata. La sua voce risulta irresistibile, costringendo la vittima del richiamo a correrere verso la fonte iptonica con una velocità tale da incendiare i piedi e far sanguinare gli occhi. Una corsa al cui termine egli stesso sarà un Wendigo. L'autore cita anche il detto indiano per cui chi impazzisce abbia visto il Wendigo.


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