1863, Melfi. La bandiera del Regno d'Italia viene condotta, come giovane reliquia dismessa, alla testa degli uomini del paese, accorsi per gettare quel tricolore rinnegato ai piedi di Raffa Raffa (Oreste Romoli) e dei suoi uomini fedeli a Francesco II e al casato borbonico. L'arringa del brigante rimbomba tra le mura e gli occhi sgranati delle autorità cittadine, consapevoli della tragedia imminente.
Gli uomini di Raffa Raffa si disperdono per le vie con la furia dei purificatori, pronti a bruciare i libri tributari e le effigi del falso re. Ogni loro gesto viene visto dall'alto di quei corpi impiccati, "traditori liberali" trasformati in bersagli ondeggianti per le invettive e il fuoco a loro destinati anche se morti. Testimoni di una processione del dolore che investe di fuoco e di distruzione le vite della cittadina.
Una processione che dura per ben tre giorni, fino alla liberazione avvenuta con l'intervento della IV compagnia. Al comando di essa viene inviato il tenente Giordani (Amedeo Nazzari), mentre sul posto è gia presente il commissario Francesco Siceli (Saro Urzì), della questura di Foggia ed ex funzionario borbonico, incaricato di dirigere l'inchiesta sugli avvenimenti di quei giorni.
I contrasti tra i due sorgono immediatamente, dove Urzì è più pragmatico, il tenente risulta più netto e drastico. Se la forza dei briganti, sostiene Giordani, è la paura, essa sarà l'arma del nuovo Regno. Le differenze d'opinione e di strategia, sono soprattutto differenze conoscitive. Urzì comprende la realtà territoriale del mezzoggiorno, i boschi impenetrabili dove mille occhi guardano e riferiscono. La realtà di una societa china sulla terra e da questa avvolta, in vita e in morte.
Per i poveri non vi è alcuna differenza tra i Borboni e i Piementosi. Forse l'unica vera differenza sono le tasse e la leva obbligatoria, prima inesistenti. A un brigante gli dai un rifugio e un pasto, lui non ti tocca. A un nordista, per essere lasciato in pace, gli devi dare un figlio!
Per i poveri non vi è alcuna differenza tra i Borboni e i Piementosi. Forse l'unica vera differenza sono le tasse e la leva obbligatoria, prima inesistenti. A un brigante gli dai un rifugio e un pasto, lui non ti tocca. A un nordista, per essere lasciato in pace, gli devi dare un figlio!
Giordani va al di là di questi concetti sociologici, poiché se i briganti devono essere spezzati, i sudditi devono essere piegati. Egli comincia proprio con l'arresto delle autorità, che hanno omaggiato e accolto i briganti, nella speranza di limitare i danni e soprattutto salvare le proprie vite. A ciò fa seguito la ricerca dei ribelli sin dentro il loro anti-regno, ossia le selve che dominano la regione.
Il volto dei soldati, che si addentrano nelle terre silvestri, non riescono a dominare la sensazione di disagio e di ansia. Quelli sono territori italiani, ma è come se si stessero penetrando in una nazione diversa. Estranea. Un territorio con riti e usanze sconosciute. La derisione dell'altro, il diverso, si fonde con la paura dell'incognito, che manifesta l'unificazione con una realtà non dissimile da quella descritta da esploratori di continenti esotici. Possiamo stendere due possenti fili tra l'esperienza vissuta a Melfi e altre due realtà, una localizzata nello stesso secolo, ma al di là dell'oceano, e una negli stessi luoghi ma nella prima metà del secolo successivo.
I rimandi alla Guerra Civile americana sono numerosi, sia per la guerra fratricida sia per le rappresaglie che hanno caratterizzato entrambe le parti, ma vi è un forte legame anche con l'oppressione dei Nativi. Giordani, rivolgendosi alla popolazione di Cervara, la definisce figlia dell'italia, ma questi uomini, con i volti deturpati da un'alimentazione impropria, non sono considerati Italiani. Loro subiscono quel processo di deumanizzazione che risulta tipico dei popoli conquistati. Tipico dei popoli colonizzati.
Il secondo legame storico è quello che si instaura con l'occupazione nazista. Essendo il film del '52, è impossibile non vedere un'analogia con i rastrellamenti subiti dalla popolazione civile. Popolazione che Germi disegna con le pennellate del terzomondismo, ma privandolo di quella visione romantica del "selvaggio buono". Se nel calderono degli atti scellerati e crudeli, egli getta alcuni personaggi di ambo le parti, Germi non salva certo il popolo, visto sì come vittima, ma anche come carnefice attraverso la perpetuazione di un codice atavico la cui tirannide diviene spesso più crudele dei sovrani deposti e incoronati. Tirannide le cui fauci si stringo sempre e comunque sulle donne. Quella femminile è una condizione che il regista scolpisce sempre nelle sue opere. Da "Il Ferroviere" a "Sedotta e Abbandonata", Germi ci mostra una donna contratta dalle regole non scritte. Fasciata, come quei piedi orientali, nel tentativo di impedirne lo sviluppo naturale.
I legami con l'America sono soprattutto con i western di Ford, con quelle figure quasi fridericiane che si stagliano sull'orizzonde in cima alle gole dei canyon. Anche l'angoscia e lo stato di paranoia ricordano il cinema d'oltreoceano, anticipando l'angoscia coppoliana sul fiume Nung.
La fotografia risulta una glorificazione antropologica del popolo meridionale, con una composizione quasi esoterica nella sua capacita di rappresentare la vita, che viene amplificata in un'essenza atemporale. Una tavola ojuca in cui viene evocato il legame con ogni elemento del focolare e del paesaggio, in una possessione che riesce a rapire il tempo e lo spazio.
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