martedì 30 giugno 2015

Dampyr - "La Banda Dei Morti Viventi (028)" e "Arizona Killers (029)"






      Ho scovato un vecchio numero di Dampyr dedicato al weird western! Non avete idea di cosa sia Dampyr? Ma quando vi deciderete ad uscire da quegli stivali e andare in edicola a prendere qualcosa di diverso! Ok, vi faccio un sunto. Harlan Draka, il personaggio principale della serie,  è un dampyr, ovvero il frutto dell'incrocio tra una donna e un vampiro. Secondo le leggende slave, un dampyr è l'unico essere in grado di uccidere i Maestri della Notte e tutti quei lecchini infernali che girotondano sui loro ani cloacali.
 Harlan Draka è un dampyr, ma non pensate che sia un emo cachettico e depresso. Questo figlio del canino allegro è la vendetta dell'uomo contro le forze infernali.


 A condividere la sua guerra ci sono Tesla, non-morta sovversiva ribellatasi al servilismo verso il suo Maestro della Notte, e  Kurjak, un uomo della guerra che ha deciso di combattere solo per l'umanità.
 La serie è nata dalle menti feconde di Mauro Boselli e Maurizio Colombo. Gli autori di Dampyr, ma anche di Tex, Zagor, Mister No, Nick Raider... Dicevo, gli autori di Dampyr hanno voluto creare un vampiroide diverso dagli aristocratici vampiri castellani o dai teenager ipoormonali e micro sopraccigliati. Inoltre hanno voluto fondere questo mito antico con l'amore per l'azione e l'avventura. Numerosi sono i volumi in cui la sceneggiatura è curata dallo scrittore Samuel Marolla, di cui vi segnalo il fantastico racconto weird western "Luna Coyote", e la splendida intervista apparsa sul blog Nocturnia dell'amico Nick Parisi.
 Vi siete sfilati gli stivali? Bene, dopo aver fatto respirare la fungaia potete anche infilarli di nuovo. Seguiremo Dampyr in una splendida avventura western!

Le notizie che vi abbiamo fornito sono le uniche necessarie per affrontare la lettura del numero 28 di Dampyr, dal gioioso titolo "La Banda Dei Morti Viventi ".
 I western sono pieni di bande criminali. Disertori, ladri di bestiame, confederati disuniti, indiani non pronati, ecc. Ma dal suolo arido dell'odierna Monument Valley emergono antichi fuorilegge con sembianze moderne. Fuorilegge dall'aroma stantio e cadaverinico che cercano di vendicare la fine della loro precedente vita terrena.
 Ma  Dampyr cosa centra con questo posto? Be, anche lui avrà diritto a una vacanza ogni tanto. Magari una vacanza intelligente in cui ripassar la summa del genere wesrtern.




lunedì 29 giugno 2015

"Da uomo a uomo" di Giulio Petroni





     Quasi nascosti da una pioggia incessante, alcuni banditi si introducono in un ranch, uccidendo silenziosamente tutti gli uomini di guardia.
 I vetri di una finestra isolano la famiglia posta al di là di essi. Li isolano dalla pioggia, dai tuoni, dal sangue, ma non dagli sguardi feroci di quegli uomini. Ben presto la tempesta si riversa all'interno di quelle mura, una tempesta di mani avide e di labbra lascive.
 Il bambino vede ogni cosa, l'inferno dell'onniscienza. La morte del padre, lo stupro della madre e della sorella. Dopo l'omicidio di quest'ultime, la casa viene data alle fiamme. Uno dei banditi, non visto dagli altri, preleva il bambino dal suo nascondiglio e lo metto al sicuro.
  Bill Meceita (John Philip Law) è ormai adulto, egli continua imperterrito ad allenarsi al tiro in attesa del giorno in cui vendicherà la sua famiglia. Mentre si reca sul luogo in cui riposano i suoi cari, Bill incontra  per la prima volta Ryan (Lee Van Cleef), appena uscito di prigione dopo una pena di quindici anni. Bill ancora non sa l'importanza che quell'uomo avrà nella sua sete di vendetta.
 Ryan è finito in prigione grazie al tradimento degli altri membri della sua banda, membri che ora gli stanno dando la caccia. L'uccisione da parte sua di due sicari, che gli avevano teso un agguato, tenderà un legame tra lui e Bill. Uno dei morti indossa infatti degli speroni identici a quelli che Bill vide quella notte. Non è detto però che gli interessi dei due uomini siano comuni...



 Il dettaglio degli occhi, le ripresa a 360°, il gioco espressivo e  l'ossimoro generazionale della complicita/conflitto, rendono il film molto leoniano. L'intreccio di interessi, l'esposizione incognita, la figura dell'infiltrato, sono tutti elementi che, insieme al già citato ossimoro, ricordano moltissimo "Per qualche dollaro in più".
 I legami con lo spaghetti western di Leone, che ben presto sfociano verso il western americano di John Sturges, derivano anche dalla presenza di Luciano Vincenzoni, per quanto riguarda il soggetto e la sceneggiatura, che collaborò con Sergio Leone per "Giù la testa", "Il buono, il brutto, il cattivo" e "Per qualche dollaro in più".
 Ciò non deve far pensare che Giulio Petroni abbia creato un film "omaggio". Basta attendere ed egli fa sbocciare un rosa sanguigna, attraverso i cui petali possiamo osservare l'emotività inquietante prendere forma. Il duello nel saloon rappresenta un tessuto di immane bellezza, incrociato attraverso un gioco di dettagli originale e quasi orrorifico in una certa espressività. Il pianoforte risulta quasi liturgico nel suo isolazionismo.



venerdì 26 giugno 2015

"Two Men in Town" (La voie de l'ennemi) di Rachid Bouchareb




      Un uomo trascina un corpo nel deserto. Ma quel corpo non è ancora un cadavere. La testa si muove lateralmente. Continuamente. Come a voler compensare l'assenza del verbo. Quell'uomo si erge su quel corpo, accanendosi sul volto. Ripetutamente.

 New Mexico. William Garnett (Forest Whitaker) è un uomo libero. Finalmente esce da quel carcere con il cuore pieno di speranze e della fede nell'islam. Ha scontato 18 dei 21 anni a cui è stato condannato per l'assassinio di un vicesceriffo. Ora lo attendono tre anni di libertà vigilata sotto il controllo di Emily Smith (Brenda Blethyn), il suo agente di custodia.
 La libertà vigilata non è una vera e propria libertà, ma comprare una moto e vagare nel bel mezzo del deserto aiuta almeno a sentirsi liberi. La velocità. L'immensità della natura. Il vento che quasi ti stira il volto, disegnandoti finalmente un sorriso sulle labbra.
 Anche il nuovo lavoro alla fattoria vicino il confine può aiutare a mantenere il sorriso che finalmente è apparso su quel viso dopo così tanto tempo.
 Ma per lo sceriffo Bill Agati (Harvey Keitel) riplasmare quelle labbra è solo un gioca da ragazzi. E' stato proprio il suo vice la vittima di Garnett. Venti anni fa, ma per lui la ferita è ancora aperta.
 Sarà un duello lento, quasi di trincea.  Per Garnett ogni conquista sociale è un mattone per trasformare quella trincea in un muro. In una casa.



 Emily Smith e Bill Agati sono due figure contrapposte. Entrambi vengono come divorati da ciò che il lavoro innalza ai loro occhi. La morte e la sofferenza ritornano continuamente nei loro sguardi. Che sia la morte di una famiglia di messicani che cerca di oltrepassare il confine, o che sia quella di un anziano che attende la fine della libertà vigilata per poter rivedere i propri figli, loro sono percorsi da quelle emozioni. Come ferri roventi vengono plasmati da tali visioni, ognuno a suo modo. Smith ha la speranza di poter dare la propria fiducia a quegli uomini che possono ricominciare a vivere, che possono rinascere. Agati no, per lui la legge è troppo misericordiosa con questi individui. La legge stende troppi tappeti rossi. Lui ha bisogno di qualcuno che racchiuda il male che è costretto a vedere ogni giorno. Lui ha bisogno di Garnett.




 Rachid Bouchareb è un regista francese, di origini algerine, che ha sempre volto il suo sguardo verso i problemi dell'immigrazione e degli esclusi, basta pensare allo splendido "Uomini senza legge" (Hors-la-loi) del 2010. In "Two Men in Town" reinterpreta il film "Due contro la città" (Deux Hommes dans la ville) di José Giovanni, con Jean Gabin e Alain Delon. Bouchareb incastona il dramma al confine del New Mexico, trasformandolo in un western contemporaneo. Numerosissimi sono i riferimenti al genere, rappresentati principalmente dal conflitto tra l'ex-fuorilegge e lo sceriffo. I due antagonisti muovono i loro passi all'interno di uno spazio infinito e splendido, ma che diviene quasi soffocante e claustrofobico grazie a quel senso di oppressione e angoscia, grazie all'ansia per l'attesa di uno scontro  sempre più imminente. A ciò si lega la sfida, la lotta interiore verso un istinto che cerca di riemergere, di dominare nuovamente. Un istinto di morte e di odio quasi endemico.
 Contemporaneità western che si manifesta anche con quel lavoro da moderno cowboy alla fattoria, in cui Garnett dovrà badare a duecento bovini. Contemporaneità western che trasforma un mustang in una triumph vintage.




mercoledì 24 giugno 2015

martedì 23 giugno 2015

"L’irresistibile country contaminato di Elle King" di Lucius Etruscus





Lucius Etruscus
L’irresistibile country contaminato
di Elle King


Solo pochi fortunati hanno avuto modo, per tre fugaci minuti, di ascoltare per radio una hit che non entrerà in nessuna classifica italiana e non sarà il “tormentone” dell’estate: io sono tra quei fortunati ascoltatori che, già alle prime note di Ex’s & Oh’s, si sono innamorati della voce squillante e allo stesso tempo ruvida di Elle King.
Non dev’essere facile essere figlia di Rob Schneider, attore comico caratterista che sin dagli anni Novanta abbiamo visto impegnato in imbarazzanti siparietti comici (o aspiranti tali), quindi non stupisce che Tanner Elle Schneider (classe 1989) abbia provvidenzialmente cassato primo nome e cognome e sia rinata Elle King: magari ufficialmente dirà che l’ha fatto per evitare favoritismi e clientelismi...
Sicuramente è stato un bel lancio entrare nella colonna sonora di Hot Pursuit (2015) – che in questi giorni esce in Italia con il solito titolo stupido che contraddistingue la nostra distribuzione: Fuga in tacchi a spillo – cantando un brano scritto dal grande Tom Petty, American Girl, e uno che è in pratica il tema del film: Catch Us If You Can. Ma questa è una King “tirata a lucido”, molto pop e ben calibrata sullo stile cinematografico. Nel 2012, quando è riuscita ad imporsi nel panorama musicale, era tutt’altro...


  

Nel video del suo primo single, Goodto be a Man, si presenta in veste di hillbilly, il classico campagnolo grezzo e ignorante dell’immaginario collettivo americano, con tanto di pupattola incinta al fianco, un’arma sempre a portata di mano e un banjo sotto le dita frementi. Tra una carezza al pancione della donna e una pizzicata al banjo, Elle King testimonia che «è bello essere un uomo, di questi tempi. Non mi rendo conto dei miei modi sgarbati e non mi sento in colpa per le cose terribili che dico.» Mentre il banjo friccica e ci ricorda i tempi di Un tranquillo weekend di paura, la King professa il suo sarcastico desiderio di essere un uomo, perché puoi bere fino a sfondarti, masticare tabacco e in generale fare quello che accidenti ti piace.


Elle King - Good to be a Man

lunedì 22 giugno 2015

"The Salvation" di Kristian Levring






       1870. Jon (Mads Mikkelsen) attende al binario insieme a Peter (Mikael Persbrandt), suo fratello. Impacciato. Ansioso. Alla fine la vede. E' appena scesa dalla carrozza del treno con il suo vestitino celeste. Il suo sorriso splende, sulle labbra e gli occhi, mentre stringe accanto il piccolo Kresten che vede per la prima volta Jon, suo padre.
 Jon, ex soldato danese, è infatti giunto per primo in America. Dopo sette anni la moglie ha lasciato finalmente la Scandinavia per raggiungerlo insieme al figlio.
 Jon e Maria salgono, insieme a Kresten, sulla diligenza per raggiungere la loro fattoria La presenza di due ex galeotti non rende di certo il viaggio più rilassante, e l'alcool tende ancora di più gli animi. Jon viene costretto a scendere mentre i due bifolchi in astinenza rimangono con sua moglie e il bambino.
 La corsa dietro la diligenza è un'impresa disperata, alla fine diviene la folle ricerca dei corpi senza vita dei propri cari. Dopo aver massacrato i colpevoli, Jon trasporta le due salme a casa.
 I due stupratori erano uomini della banda di  Delarue (Jeffrey Dean Morgan), per essere precisi uno dei due era anche il fratello del capobanda. La sua morte scatenerà una serie di eventi incontrollabili.
 La banda di Delarue  riesce a tenere sotto scacco l'intera cittadina di Black Creek, che quasi in maniera tribale sacrifica i propri figli come tributo ad un dio egoista. Il patto, instaurato tra i criminali e le autorità del luogo, prevede la consegna dei colpevoli  entro due ore, in caso contrario dovranno cedere le vite di due concittadini.




 In questo dramma si inserisce anche Eva Green nella parte di Madelaine, la nuora di Delarue. Il viso martoriato dalla prigionia presso gli indiani, e la lingua mozzata. Madelaine è una vittima. Prima degli indiani e poi del cognato. Un uso intelligente e coraggioso di un'attrice che rappresenta una delle principali sex symbol del XXI secolo. Kristian Levring ha avuto almeno due occasioni per mostrarne le grazie, o andare anche oltre, ma ha preferito non farlo, evitando quindi di utilizzarla come specchietto per le allodole come è stato fatto in un film che avrò visto, nonostante il resto, 300 volte...




venerdì 19 giugno 2015

"Ore Disperate" alla ricerca di "Una Pistola per Ringo" senza che Duccio Tessari debba attendere "Il Ritorno di Ringo".





     "Ore Disperate" di William Wyler. L'ergastolano Sam Kobish e i fratelli Griffin, Glenn (Humphrey Bogart) e Hal (Dewey Martin), evadono dal carcere di Terre Haute. Glenn Griffin ha un conto in sospeso con lo sceriffo della Contea di Marion, raggiunge quindi Indianapolis insieme agli altri evasi. I tre fanno irruzione nella villa della famiglia Hilliard. Proprio mentre gli ex galeotti si organizzano all'interno di casa borghese, il vice sceriffo Bard assume l'incarico delle ricerche.
 Il rifugio è solo temporaneo, Glenn ha intenzione di attendere fino all'arrivo della sua ragazza da Pittsburgh. L'attesa diviene ben presto una lunga e claustofobica prova di forza tra i due gruppi, una guerra continua fatta di attese e agguati, ma anche di complicità.
 "Ore Disperate" rappresenta ancora oggi il punto di riferimento per molte opere caratterizzate dall'irruzione di malviventi nel sacro focolare domestico. Stesso dicasi per la psicologia dei criminali. Il fratello cinico, leader della banda, che ha influenzato la vita del fratello minore, facendogli seguire quel solco di distruzione e follia già da egli stesso percorso, sarà un elemento ridondante. Stesso dicasi per il fratello minore, sostituito a volte dal complice giovane e inesperto, che quasi si vergogna del suo essere impuro innanzi al candore borghese e all'innocenza di una fanciulla.




    Il film è il frutto di una catena di ispirazioni. Esso si ispira al libro di Joseph Hayes, che a sua volta è stato ispirato dagli avvenimenti verificatisi nella notte tra l'undici e il dodici settembre del 1953, quando la famiglia Hill venne sequestrata da alcuni criminali per 19 ore. La catena ispirtatoria non si ferma al 1955. L'ultima opera cinematografica, che ha avuto il film di William Wyler come punto di riferimento, è il remake omonimo del 1990 diretto da Michael Cimino.
 Mickey Rourke interpreta il leader della banda mentre Anthony Hopkins è il capofamiglia borghese. Cosa salta immediatamente all'occhio? I tempi sono cambiati dagli anni '50 e con essi anche le famiglie. Il tranquillo focolare da difendere contro i criminali, così come  dai giovani teppisti e dalla propaganda rossa, si trasforma in un crogiolo di conflitti, rancori e psicosi erosive.
 Anche il ruolo della donna è cambiato. In questo remake le donne faranno una vera e propria staffetta per tenere il testimone ben lontano da attori come Rourke e Hopkins. I maschi ne escono sconfitti rispetto al '55. Rourke è uno psicopatico che a stento riesce a mantenere il controllo, troppo impegnato in filosofeggiamenti di individualismo anarchico, suo fratello funge da ammortizzatore tra i due gruppi, l'ometto di casa frigna perennemente, e Hopkins è impegnato su più fronti, tra senso di colpa e istinto di protezione.
 Il legame con il paesaggio, la fuga, i canyon, sono tutti elementi che conferiscono una sfumatura western all'opera di Cimino, opposta quindi alla scenografia completamente suburbana del film diretto da William Wyler.




     Abbiamo detto che dal 1955 al 1990 molte cose sono cambiate. Un avvenimento, che si incunea in questo spazio temporale, è la nascita del genere spaghetti western con tutte le sue conseguenze cinematografiche e psico-sociali. Genere enzimatico che assimila e trasforma. Genere che metabolizza e traumatizza. Proprio "Ore Disperate" di William Wyler cade in quell'antro oscuro del remake spaghettaro, finendo nell'impastatrice di Duccio Tessari...



     "Una Pistola per Ringo" di Duccio Tessari. Ringo "Faccia d'Angelo" (Giuliano Gemma alias Montgomery Wood) viene rilasciato dallo sceriffo di Cristal City, poiché riconosciuto non colpevole in quanto l'omicidio, da lui perpetrato, è stato conseguente alla legittima difesa. I fratelli Benson poco si interessano delle squinquille legali e decidono di recarsi a Sancosè per risolvere la questione. Come dice un vecchietto arzillo, interpellato dai quattro fratellini in cerca di Faccia d'Angelo: "Tutti cercano Ringo in questo paese, e chi ha sfortuna prima o poi riesce anche a trovarlo. Chi ha sfortuna!"
 I quattro sfortunati lo trovano e Ringo finisce nuovamente al fresco, grazie allo sceriffo Dan, in attesa del processo e dell'agognato rilascio per legittima difesa.
 Nel frattempo la banda di Sancho (Fernando Sancho) rapina la banca della cittadina, seminando morte per tutto il paese. L'inseguimento, tra lo sceriffo Dan e i banditi, costringe Sancho a rifugiarsi nella fattoria del maggiore Clyde Brown e della figlia Ruby, fidanzata di Dan.
 Le negoziazioni, dirette dallo stesso sceriffo, non ottengono alcun risultato. Sancho vuole avere via libera verso il confine col Messico, baratterà ogni giorno di attesa con due cadaveri, dai peones fino ai proprietari. L'unica possibilità è infiltrare Ringo, anche se ciò va contro i principi del pistolero: "I guai non si cercano. Vengono da soli!" Un processo lampo con conseguente proscioglimento dall'accusa di pluriomicidio, insieme a un compenso pari al  30% della refurtiva, può mutare le cose...




 Il film fonde ironia e violenza. La componente dissacrante, a carico del genere western, è lampante sin dalla scena iniziale, quando due uomini assumono la posa del duello prima di salutarsi con affetto. Ironia rivolta anche nell'uso frequente della Spagna come location degli spaghetti western. Se autori seri e colonne del genere hanno sempre cercato di celare l'ibericità di tali scenari, Tessari sembra quasi giocare con la presenza di un mulino a vento che incombe sul film per buona parte delle riprese esterne, divenedo un punto di riferimento negli eventi. Guardandolo non puoi far altro che attendere l'apparizione di Don Chisciotte sul fido Ronzinante.




martedì 16 giugno 2015

"Echoes of War" di Kane Senes





In un campo una ragazzina corre inseguita da un uomo. La notte diviene rossa per i riflessi di una casa in fiamme.

     Texas. Un reduce della Guerra Civile, Wade (James Badge Dale), incontra un ragazzo in un campo, Marcus McCluskey (RhysWakefield), intento a raccogliere dei fiori per la madre.  Wade viene a sapere della tragedia che ha colpito la famiglia McCluskey e dei loro problemi economici.
 Alla fattoria del cognato, Seamus Riley (Ethan Embry), Wade viene travolto dall'affetto dei nipoti Abigail (Maika Monroe) e Sam (Owen Teague).
All'interno delle due famiglie, la McCluskey e la Riley, vi sono dinamiche molto forti. Più inclusive nella Riley più patologiche nella McCluskey. Anche tra le due famiglie di vicini vi sono dinamiche non proprio fisiologiche, e la loro patologizzazione avverrà proprio grazie al ritorno di Wade.
 La storia ricalca la faida tra gli Hatfield e i McCoy . Se in quella famosissima guerra di clan la scintila detonante fu il furto di un maiale, qui tutto scaturisce dalla sottrazione di un cinghiale catturato dalle tagliole poste dai Riley. Anche qui è presente la storia d'amore tra i giovani delle due fazioni opposte, Abigail e Marcus. Altro elemento in comune è l'ombra della Guerra Civile sulle due famiglie.
 I cognati Seamus e Wade sono agli antipodi. Il primo più riflessivo, pone le sacre scritture come baluardo non solo per l'educazione dei figli e per la narcotizzazione del dolore derivante dalla morte della moglie Mary, ma anche come riferimento per l'interazione col prossimo. Ciò spiega il suo disinteresse per il furto della selvaggina da parte dei McCluskey. Questo essere ciechi rappresenta una carità passiva atta a non ledere l'onore di quella famiglia ormai in decadenza.
 Wade è diverso. Non è la bibbia a colmare il suo dolore interiore, ma la virilità e il rispetto degli antichi  valori, compreso quello della proprietà e della capacità di essere indipendenti. Anche per lui ciò è un riempitivo interiore, una forma di lenitivo per la guerra e per l'innocenza perduta.



martedì 9 giugno 2015

"Yankee" di Tinto Brass. Il western fumettistico metafisico con lo scorpione lisergico, a rilascio graduale, affrancato da Syd Barrett.





  Un bandito entra a cavallo in un saloon. La sua doppietta è spianata come l'alabarda di un cavaliere medievale. Ci vuole poco a farsi consegnare l'incasso, ma altrettanto poco ci vuole a Yankee (Philippe Leroy) e a un'altro avventore per riempirlo di piombo. Le spartizioni son subito fatte, l'incasso è di Yankee e l'altro dovrà rifarsi con le grazie della proprietarie che si arricchirà con la taglia del bandito, il ricercato John Poco Prezzo.
 Yankee raggiunge le terre del New Messico dominate da il Grande Concho (Adolfo Celi). Il suo percorso è costellato dai morti lasciati dai fedelissimi di questo capo vendicativo.
 Vendicativo ma giusto. I suoi "lavoranti" sono fuggiti dopo la rapina a un treno, naturalmente con il bottino. I cadaveri di questi ingrati ombreggiano sul villaggio, pendolando grazie alle corde che cingono i loro colli.
 Il problema è che l'unico grande assente è proprio quello che ha avuto il compito di nascondere la refurtiva. Problema maggiore è che  non sanno della sua morte avvenuta in  una saloon al di là della frontiera...
 Yankee decide di mettersi in società con il Grande Concho, portandogli in dote il bottino di John Poco Prezzo.

 Tinto Brass desidera con quest'opera omaggiare i fumetti americani. La parte iniziale pare più un omaggio a Sergio Leone ma con una fotografia al limite dell'audace. Le riprese di spalle, più che esaltare una tendenza avanguardistica, sembrano quasi un errore di montaggio, così come alcune riprese dal basso. Il dettaglio degli occhi, caratteristica di Leone come poi del Fulci e di Margheriti, sembrano inseriti quasi a forza. In maniera sbrigativa. Altri omaggi a Leone sono inseriti nella trama, e sono numerosissimi. Ma forse vale anche il contrario grazie ad un patibolo vivente...
 Philippe Leroy estremizza con ironia molti elementi tipici dei pistoleri western, la sua figura ricalca esteriormente molto il Kirk Douglas di Il giorno della vendetta (Last Train from Gun Hill). I personaggi comunque, essendo un western fumettistico, è naturale che siano particolarmente eccentrici e al limite del grottesco, cosa di certo non rara in uno spaghetti western. Basta pensare ad un Adolfo Celi tinto che si presenta come un Trimalchione in quel poncho sgargiante con pitonato dorato (video).



 Mirella Martin interpreta Rosita, la pupa del cattivo. Sensualissima in tutte le scene, la vedremo cavalcare con copertura senese attuata da collana a pendaglio, ma anche in uno splendido bagno patrizio. La Martin, come molti personaggi femminili di italian western, è una vittima trascinata dalla follia egoistica dell'uomo.



mercoledì 3 giugno 2015

"Mannaja" il western gotico di Sergio Martino e il folk apocalittico di Guido e Maurizio De Angelis





L'inizio è quasi horror con quell'uomo che corre mentre il rallenty degli zoccoli lo minaccia. I suoni ovattati, l'espressione di angoscia, la nebbia da cui i rami emergono come arti di creature infernali.
 Il cavallo nitrisce. Il fuggitivo si ferma. Sa di non avere scampo. La pistola. L'afferra. Cerca di puntarla, ma il cavaliere ha lanciato la sua accetta che ruota, ripetutamente, fino a tranciare la mano del fuggitivo che urla disperato.
 Il cavaliere è Mannaja (Maurizio Merli), il cacciatore di taglie famoso per la maestria nell'uso dell'accetta. Durante il suo viaggio, finalizzato alla riscossione della taglia che grava su mano mozza, decide di fermarsi a Suttonville, regno incontrastato del ricco Ed McGowan (Philippe Leroy), proprietario della miniera d'argento.
 Quello di McGowan non è un nome nuovo per Mannaja. All'indomani della sua prima nottata a Suttonville, una nottata inizialmente un po' movimentata, il cacciatore di taglie si reca all'entrata della miniera dove viene assalito da una serie di flash back.
 Sfruttando la presenza nella zona di una banda di predoni, che assaltano le diligenze che trasportano l'argento estratto dalla miniera, Mannaja cerca di entrare nelle grazie di McGowan e della sua bella figlia, Deborah. Impresa non facile sia per la naturale paranoia del diretto interessato sia per la presenza di Theo Woller (John Steiner), il cane da guardia del capitalismo. Tra i bravi che ruotano intorno a Woller vi è anche il grande caratterista Nello Pazzafini.
Martine Brochard, che interpreta la "ballerina" Angela, irradia malizia dai suoi occhi, riuscendo a disidratarti più di un massaggio prostatico. Lei, così come le restanti ragazze con il loro can-can, fornisce inizialmente un ottimo diversivo alla crudezza delle immagine. Ad un certo punto, più che mitigare, esse tenderanno a renderne ancor più forte l'impatto.




martedì 2 giugno 2015

Walalla covers





     "Il nome richiama epiche saghe nordiche ma la protagonista di questa serie, partita nel novembre del ’69 per la RG di Renzo Barbieri e Giorgio Cavedon, è una bianca appartente a una tribù indiana molto prima dell’avvento di Magico Vento. Una risposta alla Vartàn delle edizioni Furio Viano? Nel caso sarebbe stata veramente subitanea, dato che il primo numero di Vartàn è dell’ottobre 1969..." Continua a leggere su Fumetti Etruschi, il blog di Lucius Etruscus.
 L'autore dell'articolo, Ciccio Russo, lo trovate anche su Metal Skunk, il sito che vi spiega la differenza tra Diabolical e Demonical. Se siete appassionati di tascabili sexy horror d’antan, potete inoltre fare un salto sul suo blog, dove troverete copertine, immagini, informazioni e curiosità sul fumetto exploitation italiano nonché le recensioni sul tema di Fumetti Etruschi.



lunedì 1 giugno 2015

"Fava di Lesso" di Daniele Caluri, ma anche Vento che Sibila, Gattina Seduta, Lupo Ululante, Dieci Grinze, Cocciolone,...






     Daniele Caluri è nato a Livorno nel 1971. Già a 14 anni collabora con il Vernacoliere (Livornocronaca il Vernacoliere), mensile satirico nato nel 1982 e definito "dito nell’occhio (e nel culo, dicono i benpensanti) dei potenti d’ogni scuderia e d’ogni cilindrata". Il Caluri, attraverso opera areodinamica e manicurea, genera proprio per tal testata libertaria il suo primo personaggio: Fava di Lesso.
 Ma chi l'è 'sto Fava? Selvaggio è muschioso come l'orifizio analogico di un cojote mellifluo, il Fava dispensa ignoranza e ira come un Attila del lontano Uaiòmingh. Che poi nel vecchio west ci son pure li motivi pe' incazzarsi. Pensate se venissero i crucchi a dire come ci dovremmo muover e comportar... Li riuscite a capir quindi sti poveri pellerossa, prima liberi come il vento e ora a dar pur conto sulle loro cavalcate.