martedì 20 settembre 2016

"Uomini e Lupi", Giuseppe De Santis e i trapper dell'Abruzzo nella selva della fame.






     L'inverno, tra le montagne dell'Abruzzo, è un manto sensoriale che cala sulla povera gente. Il freddo che brucia la carne. La neve che oscura la vista. I lupi che stregano le orecchie con i loro ululati, come il pianto famelico di un bambino crudele e mai sazio, che strazia il seno di una madre denutrita.
 I lupari sono gli esorcisti di questi demoni e delle loro urla magiare. Esorcisti i quali paiono quasi fratelli di quegli stessi spiriti del male che tanto combattono. Forse usciti dallo stesso inferno di ghiaccio un attimo dopo i lupi. Inferno in cui rientrano, dopo che questi ha ingoiato nuovamente le sue fiere.
 Il luparo Giovanni (Pedro Armendáriz) giunge a Vischio insieme alla moglie Teresa (Silvana Mangano) e al figlio Pasqualino. La paga di 20.000 lire per ogni lupo ucciso, 25.0000 se femmina, non è molto, tenendo conto che sarà necessario acquistare della carne per poter spingere le bestie verso le tagliole.
 La taglia non è molto ma è comunque un richiamo per i lupari. Richiamo che trascina anche Ricuccio (Yves Montand) in quel paese sperduto. A lui si lega immediatamente Pasqualino, grazie alla sua spensieratezza e a quel sorriso che illumina costantemente il suo volto. Per i due adulti, sarà molto diverso.



 Se per Giovanni essere lupari è avere come unico padrone la natura, per Riccardo è diverso. Le sue stesse abitudini, il bagno e la barba ogni mattina, lo rendono più "comodo" dello stesso figlio del padrone per cui egli lavora. La spensieratezza di Ricuccio lo fa apparire come una divinità di quei boschi, con i suoi canti che sferzano le frondi e la sua figura che si aggira in quel bianco solcato dagli alberi. Una divinità minore, ancora in cerca di un ruolo in un sistema forse troppo vasto per lui. Per lui esser lupari è un espediente, un modo per mangiare, perché <<la fame non fa viaggiare solo ai lupi>>.