Liz (Dakota Fanning) è l'ostetrica di un villaggio della frontiera
americana, dove vive con sua figlia, suo marito e il figlio che
quest'ultimo ha avuto con la precedente moglie.
La
vita di Liz scorre tranquilla, tra l'assistenza alle gravide, i lavori
domestici e le domeniche in chiesa. Proprio in chiesa, il suo corpo si
ghiaccia all'ascolto della voce del nuovo reverendo (Guy Pearce). Un
suono basso, grave, che rende ancora più difficile ruotare il capo per
osservare l'origine di esso, quasi che si volesse ritardare quanto più
possibile quella fatidica e irrevocabile vista. Una voce che squarcia
quel velo, ormai leggerissimo, posato sul suo passato
Lei
farà di tutto per rinviare quell'incontro, ma il fato ha in serbo la
prova più rischiosa per ogni donna, ossia l'assunzione del diritto al
libero arbitrio. Il dover decidere autonomamente tra la sopravvivenza di
una madre e quella del di lei neonato, sarà per Liz il più grave
peccato.
In "Brimstone", la chiesa diviene il crogiola ove le donne vengono rese malleabili attraverso il fuoco sprigionato da paure e frustrazioni ataviche. Un templio non a Dio, ma alla claustrarità permanente dell'essenza femminea. Da questa fornace saetta il Reverendo, come fabbro impazzito in cui la fede stessa diviene materia grezza da forgiare in funzione dei suoi istinti più bassi e bestiali. Egli si abbatte su Liz con la forza dell'Apocalisse, spargendo fuoco e aborti. Morte e sangue.
Martin
Koolhoven crea, attraverso una commistione tra western, horror e
thriller, un'opera di formazione costituita da incastri temporali che,
permettendoci di scoprire l'origine del dramma di Liz, ci accompagnano
in un girone infernale dominato dall'ossessione di un uomo e dalla sua
consapevolezza di navigare sulle calme acque della complicità sociale.
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