lunedì 31 agosto 2015

"Se sei vivo... restaci!" - Se il tuo braccio ti impedisce di uscire dai canyon dello Utah, strappalo via. E' meglio per te entrare monco nella valle degli Eroi che putrefare con esso tra le rughe della terra! "127 ore" di Aron Ralston







    26 aprile 2003. Aron Ralston sta pedalando con la sua mountain bike all'interno del parco nazionale del Canyon Land. L'inizio di un percorso di 45 km, la metà dei quali è rappresentata dalla discesa a piedi del Blue John Canyon e poi dell'Horsehoe. Aron ha con se uno zaino di 15 kg, che contiene quattro litri di acqua, cinque barrette di cioccolato, due burritos e un muffin al cioccolato. Il resto dello zaino è occupato dall'equipaggiamento per la calata in doppia: 3 moschettoni a ghiera e 3 normali, un anello da calata, un set leggero da assicurazione e discesa, due giri di fettuccia sottile, una longe con asole, cintura di arrampicata, una corda da 10,5 cm di diametro lunga 60 m, 8 m di fettuccia tubolare da 2,5 cm e un coltello multiuso provvisto di pinze all'interno.  San Metatheria ha permesso che rimanesse spazio anche per una lampada frontale, auricolari, lettore cd, alcuni cd dei Phish, batterie stilo, macchina fotografica digitale e una mini-videocamera con relative batterie di ricambio. La giornata è calda e secca, Aron indossa berretto di basball, T-shirt, shorts da bici in lycra, calzoncini da treekking, calze di lana e scarpe da ginnastica.
 Quando il progetto di una vacanza di cinque giorni con gli amici in alta montagna è saltato, Aron ha deciso di cambiare in maniera estrema il paesaggio della sua vacanza scegliendo lo Utah. Cinque lettere scritte su un biglietto per gli amici con cui condivide l'appartamento. Cinque lettere che racchiudono l'immensità di un paesaggio infinito per una stupenda vacanza solitaria.




giovedì 27 agosto 2015

Ken Parker "Colpo Grosso A San Francisco" n°8






    Donald Welsh, colui che Parker è andato a snidare in un Messico corrotto e sanguinario, è riuscito a prendere il largo nonostante la caccia dell'esercito e del nostro segugio del Montana. Ma se hai passato la vita a tradire tutti, non puoi sperare nell'altrui lealtà e in un viaggio comodo e sicuro.
 Il mondo infatti è pieno di squali, sia dentro che fuori dall'acqua, e alla fine ti ritrovi solo e sperduto. Ma anche i bastardi hanno la loro buona stella...

...che può sempre eclissarsi però!



Riuscirà Ken Parker a regolare finalmente i conti con  quel cane di Donald Welsh? Questa volta quel furfante non potrà scappare tanto facilmente. A San Francisco c'è qualcosa di molto importante per lui. Qualcosa di irresistibile. Qualcosa che spingerà quest'avventura, satura di tradimenti, egoismo e amore, in cielo e in mare...




lunedì 24 agosto 2015

Brad Barron - "TERRA PERDUTA" n°03






     Brad Barron è una serie bonelliana nata dal desiderio di onorare la fantascienza degli anni '50, quella fantascienza il cui sguardo era volto al cielo e in attesa  paranoica di un invasione aliena, già avvenuta comunque per il senatore McCarthy... La serie è frutto anche dall'autodeterminazione a guarire dalla sindrome della "Series Ainterruptus".  La sua durata viene infatti fissata a diciotto albi mensili, a cui si aggiungeranno quattro numeri speciali.
 La Bonelli, consapevole della crisi dell'editoria, decise quindi di creare dei numeri agili che potevano anche essere letti in autonomia, fornendo quindi i punti essenziali della storia nelle pagina introduttiva di ogni numero.




 L'intera serie può essere vista come un omaggio alle riviste pulp, lo stesso Brad Barron è ricalcato sull'eroe di queste storie. Storie i cui generi si fondono e si legano. Non ci sarà solo la fantascienza in questa serie, vivremo infatti incursioni nell'horror, nell'hard boiled e nel western.
 Proprio al genere western sono dedicati molti volumi della serie, ad ognuno di essi dedicheremo una recensione. Oggi parleremo del  n°03 intitolato "Terra Perduta" e pubblicato nel luglio del 2005.  Il soggetto e la sceneggiatura sono di Tito Faraci, i disegni di Giancarlo Caracuzzo.
 Brad Barron è sulla strada per il Kentucky, ma il desiderio di far il pieno allo stomaco e al serbatoio lo portano alla cittadina di Mood River. Qual'è la capacita tipica di un eroe? Quella di ficcarsi nei guai naturalmente, altrimenti come si può dimostrare la propria natura altruistica. Ecco cosa si presenta ai suoi occhi...



ecco ciò che ne resta...



mercoledì 19 agosto 2015

Ken Parker "Sotto Il Cielo Del Messico" n°7





     Dopo giorni passata ad attraversare il deserto tra crotali, cactus e viandanti non proprio pacifici, Ken Parker entra nella cittadina messicana di San Luis. La trasferta è finalizzata a scoprire dove si sia cacciato Donald Welsh, un americano passato da lì circa un anno prima. Non sarà un'impresa facile vista la disponibilità dei tutori dell'ordine...




 Spesso se cerchi una vecchia conoscenza fai nuove amicizie. Ken incontra un uomo, sosia di Jack Elam, che incarna quella figura di "Babbo bastardo" tipica degli spaghetti western, figura di cui abbiamo parlato spesso. 




Ma si sa, la saggezza dei padri e diversa da quella dei figli...




  In questa nuova avventura Ken Parker dovrà fare i conti con un potere corrotto e violento, ma anche con una "sorpresa" che lo lascera di sasso. Una storia che come sempre presenterà citazioni spaghettare, in questo caso condite da ostriche boccaccesche e botticelliane, spumose e fruttose, ma anche pepate...





martedì 18 agosto 2015

John Benteen (alias Jack Slade) - I Comancheros (The Comancheros)





 Jim Sundance, il diavolo biondo, è un mezzosangue. Alto, spalle larghe e fianchi sottili, capelli biondi, occhi allungati e pelle color del rame sbiadito. In lui convivono la cultura indiana e quella dell'uomo bianco. Sundance vive la sua vita diviso tra l'atteggiamento sospettoso del pellerossa e l'istinto avventato dell'uomo pallido.
 La voce del sospetto risuona nella sua mente prima di raggiungere la fattoria dei MacIvers. Una sensazione che rischia di rovinare quella dolce mattinata in cui il diavolo biondo ha deciso di rivedere finalmente l'amico che lo salvò da un linciaggio.
 Sundance cavalca come un Babbo Natale Rosso tra la polvere del Nuovo Messico. Un Winchester '44-'40 per il vecchio, una pezza di seta per la moglie e, per la figlia, un vestito comprato a Santa Fé. Fino a quando la dolce mattinata è rovinata definitivamente!
 Egli vede la mandria del vecchio trivellata di colpi intorno alle rovine fumanti della fattoria. Il corpo di Hannah, la moglie del vecchio scozzese era stata violentata e sfigurata dalle numerose pallottole che avevano trapassato il suo viso e il suo florido seno.
 Il vecchio Fergus MacIversè ancora vivo. I suoi vestiti completamente bruciati e la sua pelle arsa come il legno secco. Arsa da un fuoco che aveva bruciato le sue orecchie e le sue palpebre. Ma le sue labra sono ancora in grado di pronunciare il nome dell'assassino: Eldon Riggs. Sundance non può far altro che donargli la pace...

 "<<A più tardi, Fergus>>, disse calmo Sundance, e infilò la pallottola nella fronte del vecchio, che non ebbe nemmeno un fremito quando la calibro '44 gli trapasso il cervello: il corpo gli si rilassò e occhi e faccia assunsero un'espressione calma. Il vecchio poteva finalmente dormire dopo quella dura giornata. Col viso pallido, Sundance spostò il cilindro vuoto verso il caricamento della Colt, lo tolse con una bacchetta e si ficcò il cilindro in una tasca della camicia. Più tardi l'avrebbe ricaricata e sarebbe rimasta nella fondina sinché non gli fosse capitata l'opportunità di scaricarla in testa a Eldon Riggs."

 Della ragazzina nessuna traccia. Sundance capisce che deve essere stata rapita dalla banda di comancheros. Ma lui ben presto avrà un asso nella manica per raggiungere Eldon. Un asso con le fattezze del fratello di quello sporco criminale.
I tre scrittori che si nascondono sotto il nome di John Benteen sfornano una nuova avventura per il diavolo biondo. In questa scia di vendetta il terzetto di autori western disegna un paesaggio exploitation come i nostri truculenti spaghetti western. Risse, sparatorie e bastardi talmente bastardi da essere uccisi due volte!

John Benteen "I Comancheros" (The Comancheros, 1973). I Grandi Western Longanesi n°133, 1975, trad. di Mirella Miotti.



domenica 16 agosto 2015

"Swelter" di Keith Parmer. Ovvero "Duelli sciatici, attori artrittici, smemorati disarmati e diagnosi incapsulate"!







     Stillman (Jean-Claude Van Damme), Boyd (Josh Henderson) e Kane (Daniele Favilli) sono in attesa del passaggio di un furgone particolare. Il furgone del penitenziario che conduce i galeotti alla cappella. I problemi religiosi degli Usa del XXI secolo hanno indotto il sistema carcerario ad appaltare i servizi religiosi, officiati in luoghi isolati e sperduti...
 La cappella diviene il luogo ideale per liberare Cole (Grant Bowler) dalle grinfie dello stato punitore. Cole è la mente del gruppo. Egli è fondamentale non solo perché riesce a tenere legati una manica di psicolabili, che non riuscirebbe neanche a usufruire di uno sconto comitiva al cinema senza raderlo al suolo dopo aver violentato la macchinetta dei popcorn, ma anche per le sue capacità di risolutore dei problemi...
 Cole è in carcere per aver guidato dieci anni fa i tre simpaticoni, insieme a un altro uomo che non ha usufruito dell'ospitalità statale, nella più grande rapina ai danni di un casinò, una rapina da dieci milioni!
 Il problema è che l'unico uccel di bosco post-rapina è quello che ha potuto godere della zavorra dorata. Il V uomo è stato ferito alla testa durante il colpaccio e lasciato indietro dai compagni, intenti a giocare con gli sbirri, insieme alla borsa con la refurtiva.
 Mentre i TreTre dalla tetania espressiva attendo in macchina, Cole dà origine all'amutinamento dei chierichetti cominciando a pestare le guardie con la bibbia. Stillman, grazie a un fucile pressorio, sfonda il muro della chiesa, permettendo a Cole di fuggire e interrompere la penitenza delle guardie penitenziarie.


Colt ha reso gli uomini uguali ma Chigurh li ha resi originali...

giovedì 13 agosto 2015

Ken Parker "Sangue Sulle Stelle" n°6





     Il nostro Ken Parker deve consegnare un carico di pelli a Paradise City. Fortuna vuole che incontri per strada un vecchietto arzillo desideroso di un passaggio e di un po' di whisky.
 Giunti in città il duo si accorge che di paradisiaco è rimasto solo il nome. L'arrivo della ferrovia ha trasformato questa piccola cittadina in  un importantissimo centro per lo smistamento dei bovini verso gli stati dell'est. Dove ci sono bovini ci sono anche cowboy, alcool e puttane. Questa miscela esplosiva non giova di certo alla vita dei tutori dell'ordine...




mercoledì 12 agosto 2015

"La morte cavalca a Rio Bravo" di Sam Peckinpah. Articolo di Lucius Etruscus.






Lucius Etruscus
La morte cavalca a Rio Bravo

Scomparso da cinquant’anni dal nostro Paese, finalmente il primo film di Sam Peckinpah torna in Italia, con un DVD e con la messa in onda di RaiMovie. In attesa del prossimo passaggio televisivo, domenica 16 agosto alle 21.15 su RaiMovie, vale la pena raccontare qualche retroscena.

Tutto inizia dalla megalomania di Marlon Brando. Nel 1961 giunge a compimento un lavoro per la Paramount che l’attore ha capricciosamente tirato per le lunghe, visto che non era mai soddisfatto dei nomi che gli venivano forniti alla sceneggiatura e alla regia. Il film è I due volti della vendetta (One-Eyed Jacks) ed è l’unico film diretto da Brando: non gli verrà mai più permesso di sedere sulla sedia del regista.
Tra i vari nomi vagliati negli anni per dirigere lo sfortunato film – da Sidney Lumet a Elia Kazan – c’è anche quello di Stanley Kubrick, fresco di Orizzonti di gloria. Nel saggio Brando Rides Alone (2004) Barry Gifford racconta che dopo aver letto la sceneggiatura Kubrick rivelò a Brando che non aveva ben capito di cosa parlasse il film, e Brando gli rispose: «Parla di me che pago 250 mila dollari a settimana a Karl Malden!» Tanto infatti prevedeva il contratto con l’attore che interpretava lo sceriffo Longworth, e più durava la scelta del regista più soldi andavano persi. Kubrick però non apprezzò la risposta, e disse a sua volta: «Be’, se è di questo che parla, credo di star girando il film sbagliato.» Kubrick passa a dirigere quella sciocchezzuola chiamata Spartacus, ma tra i vari nomi opzionati per lavorare al film ce n’era anche uno in realtà totalmente sconosciuto all’epoca: il 32enne Sam Peckinpah.
All’epoca Sam sbarca il lunario facendo la comparsa nei film di Don Siegel – come L’invasione degli ultracorpi (1956) – e dal 1957 scrive a capo chino sceneggiature su sceneggiature per episodi di serie TV western: Have Gun: Will Travel, Gunsmoke, I racconti del West e tanti altri nomi illustri. Ogni tanto gli fanno dirigere qualcosa, soprattutto episodi di The Rifleman e The Westerner, ma certo ambisce ad occasioni più sostanziose. Quando Marlon Brando lo chiama sembra davvero il momento della svolta.
Brando possiede i diritti del romanzo La storia di Hendry Jones (The Authentic Death of Hendry Jones, 1956) di Charles Neider (Mondadori 1960), che in realtà l’autore ha ampiamente scopiazzato da The Authentic Life of Billy the Kid (Pat F. Garrett "Billy the Kid", ed. Longanesi 1973) scritto dallo sceriffo Pat Garrett: Billy e Pat diventano Jones e Longworth e il gioco è fatto. Peckinpah lavora a lungo sulla sceneggiatura ma il risultato finale non piace al divo Brando, che la rigetta: nel 1973 Sam si “vendicherà” con il film Pat Garrett e Billy the Kid.
Mentre Brando continua i suoi capricci per il suo film, Peckinpah trova un altro ingaggio. La star Maureen O’Hara e suo fratello Charles FitzSimons, celebre produttore, hanno fondato la Carousel Productions insieme allo scrittore Sid Fleischman per portare su schermo un romanzo di successo di quest’ultimo: Yellowleg (1960). Fleischman stesso si occupa di trasformare il proprio libro in una sceneggiatura, che poi pubblicherà come novelization: quest’ultima arriverà in Italia con il titolo del film: La morte cavalca a Rio Bravo (“I Grandi Western” n. 121, La Frontiera 1987)
Il film è ovviamente dai costi contenuti, pochi attori e poche location, ma il romanzo è stato un successo e la star Brian Keith è una garanzia: manca solo un regista che costi poco. Cioè l’occasione per l’inesperto Peckinpah, che pare sia stato pagato esattamente la metà dell’attore Keith.

martedì 11 agosto 2015

Paolo Nelli - Golden Boot






     Chuck ama leggere all'ombra, sul retro della casa. Chuck ama leggere nascosto dagli altri, soprattutto da suo padre, Rod il minatore. I libri son roba da donnicciole e, come dice il vecchio, roba buona per imbottirsi il deretano a protezione dei calci che ti appiopperanno quelli con più attributi di te. Per quel bifolco paranoico del padre di Chuck, l'uomo deve saper sparare. E' fondamentale. Che diavolo di uomo sei se non sai sparare?
 Ma a Chuck non piace proprio essere una di quelle zucche vuote che girano sempre armate. Zucche vuote che oltretutto puzzano come la latrina di un lazzaretto. Non è certo un caso se quei feticisti delle canne forate puzzano tutti. Chuck, se proprio deve puzzare, preferisce puzzare di cuoio, come Bill il calzolaio. Golden Boot è piena di gente che sa usare una pistola ma vi è un unico ciabattino.
 Non è che la popolazione di Golden Boot sia molto varia. Ci sono solo due minatori a spezzarsi la schiena e a rischiare la vita per un po' di polvere d'oro, Ron e Dalton. Ora è giunto anche un prete con la sua graziosa nipote, Susie, ma di anime vogliose di redimersi ve ne sono ben poche a Golden Boot. Al massimo il prete può passare del tempo a filosofeggiare con quell'insegnante disperso tra i trogloditi. L'insegnante non è un vero e proprio credente, anche se aiuta il prete nel restauro della chiesa cadente.  Sempre meglio comunque di parlar alle sedie vuote durante i sermoni.




 Chuck vive continuamente con il peso di essere un paria, un escluso. In una società maschilista, che esalta la violenza e la manualità, l'arte e il sentimento sono solo macigni innanzi a una crescita corretta e sana. Egli arriva quasi ad odiare l'insegnante che, attraverso l'amore per la poesia, è come se gli avesse trasmesso un morbo orribile e nefasto. Una lebbra che ha sconvolto il suo concetto di se. Ma Chuck non può rinnegare quell'arte posta a filtro di amplificazione dell'immensità rappresentata dalla natura incontaminata. Natura che circonda Golden Boot con la sua bellezza inviolabile. Natura che risplende anche attraverso gli occhi di Susie.
  Golden Boot è un paese strano. Non vi è uno sceriffo da almeno dieci anni, ma vi sono tutte le tombe dei passati tutori della legge. Golden Boot è un paese ricco. Ricco di persone bizzarre. Susie che ventriloqua con la sua bambola, facendole recitare versetti della bibbia e lavandola continuamente per purificarla dal peccato. Il reverendo Ralph che fa tremare il pulpito con le sue parabole, cercando di emancipare quegli uomini dal fango della perdizione, mentre le sue parole risultano vuote per un pubblico che lo assiste per la sua voce tonante e vibrante. Ma anche Bill risulta particolarmente "eccentrico" con le sue parabole incentrate sugli stivali e il cuoio...

 «Un uomo intelligente è come lo stivale che hai in mano. Se vuole resistere nel mondo deve essere doppiamente forte. Il mondo ha paura degli uomini intelligenti, e fa di tutto per poterli eliminare».




 Un mondo che sprigiona violenza in ognuna delle sue attività. Perfino i sermoni del reverendo Ralph sembrano saette scagliate da un Adonai vendicativo. Le stesse mandrie vengono descrtitte come un esercito maestoso ma dotato di un'energia potenziale capace di distruggere immediatamente quel misero villaggio.

 Rod in realtà ama quel suo figlio così strano. E' il suo desiderio è quello di mandarlo via da un luogo come quello. Il ritrovamento dell'oro è una speranza giunta finalmente a salvare non se stesso ma soprattutto suo figlio. Ma proprio quando la miniera dona a un Ron silente il frutto tanto agognato, egli muorte in uno stranissimo incidente.
 Ora Chuck dovrà scegliere se continuare a coltivare l'amore per lo spirito, o divenire la mano della giustizia. Ogni parola e ogni discorso, proferito dagli altri inconsapevolmente, non fa che rafforzare il suo desiderio di vendetta.

«Sono fuggito, ho calpestato ogni metro d’America, ma non si sfugge alla memoria, e di fronte alla morte c’è una cosa sola da fare, reagire, ragazzo. Reagire. La vita continuerebbe comunque. E allora falla continuare reagendo. Soprattutto adesso, che sei diventato uomo».

Golden Boot è un'opera splendida. Un romanzo di formazione che usa un'ironia sapiente capace di virare verso un dramma interiore in grado di eroderci dall'interno, come una tragedia classica. Un western ortiginale con un intreccio emotivo che non mancherà di colpirci con violenza ma anche con amore. Ameremo quei personaggi. Ameremo Rod, diviso tra la consapevolezza di non essere più quel macho che avrebbe voluto usare come stampo per la formazione del figlio e il desiderio di salvare quel ragazzo da un destino di violenza e soprusi. Ameremo Chuck nei suoi tormenti interiori, riconoscendovi i nostri. Ameremo la follia di ogni singola umanità di quel luogo sperduto nel deserto. Consapevoli che in ogni terreno sterile c'è una fonte inesauribile.