mercoledì 12 agosto 2015

"La morte cavalca a Rio Bravo" di Sam Peckinpah. Articolo di Lucius Etruscus.






Lucius Etruscus
La morte cavalca a Rio Bravo

Scomparso da cinquant’anni dal nostro Paese, finalmente il primo film di Sam Peckinpah torna in Italia, con un DVD e con la messa in onda di RaiMovie. In attesa del prossimo passaggio televisivo, domenica 16 agosto alle 21.15 su RaiMovie, vale la pena raccontare qualche retroscena.

Tutto inizia dalla megalomania di Marlon Brando. Nel 1961 giunge a compimento un lavoro per la Paramount che l’attore ha capricciosamente tirato per le lunghe, visto che non era mai soddisfatto dei nomi che gli venivano forniti alla sceneggiatura e alla regia. Il film è I due volti della vendetta (One-Eyed Jacks) ed è l’unico film diretto da Brando: non gli verrà mai più permesso di sedere sulla sedia del regista.
Tra i vari nomi vagliati negli anni per dirigere lo sfortunato film – da Sidney Lumet a Elia Kazan – c’è anche quello di Stanley Kubrick, fresco di Orizzonti di gloria. Nel saggio Brando Rides Alone (2004) Barry Gifford racconta che dopo aver letto la sceneggiatura Kubrick rivelò a Brando che non aveva ben capito di cosa parlasse il film, e Brando gli rispose: «Parla di me che pago 250 mila dollari a settimana a Karl Malden!» Tanto infatti prevedeva il contratto con l’attore che interpretava lo sceriffo Longworth, e più durava la scelta del regista più soldi andavano persi. Kubrick però non apprezzò la risposta, e disse a sua volta: «Be’, se è di questo che parla, credo di star girando il film sbagliato.» Kubrick passa a dirigere quella sciocchezzuola chiamata Spartacus, ma tra i vari nomi opzionati per lavorare al film ce n’era anche uno in realtà totalmente sconosciuto all’epoca: il 32enne Sam Peckinpah.
All’epoca Sam sbarca il lunario facendo la comparsa nei film di Don Siegel – come L’invasione degli ultracorpi (1956) – e dal 1957 scrive a capo chino sceneggiature su sceneggiature per episodi di serie TV western: Have Gun: Will Travel, Gunsmoke, I racconti del West e tanti altri nomi illustri. Ogni tanto gli fanno dirigere qualcosa, soprattutto episodi di The Rifleman e The Westerner, ma certo ambisce ad occasioni più sostanziose. Quando Marlon Brando lo chiama sembra davvero il momento della svolta.
Brando possiede i diritti del romanzo La storia di Hendry Jones (The Authentic Death of Hendry Jones, 1956) di Charles Neider (Mondadori 1960), che in realtà l’autore ha ampiamente scopiazzato da The Authentic Life of Billy the Kid (Pat F. Garrett "Billy the Kid", ed. Longanesi 1973) scritto dallo sceriffo Pat Garrett: Billy e Pat diventano Jones e Longworth e il gioco è fatto. Peckinpah lavora a lungo sulla sceneggiatura ma il risultato finale non piace al divo Brando, che la rigetta: nel 1973 Sam si “vendicherà” con il film Pat Garrett e Billy the Kid.
Mentre Brando continua i suoi capricci per il suo film, Peckinpah trova un altro ingaggio. La star Maureen O’Hara e suo fratello Charles FitzSimons, celebre produttore, hanno fondato la Carousel Productions insieme allo scrittore Sid Fleischman per portare su schermo un romanzo di successo di quest’ultimo: Yellowleg (1960). Fleischman stesso si occupa di trasformare il proprio libro in una sceneggiatura, che poi pubblicherà come novelization: quest’ultima arriverà in Italia con il titolo del film: La morte cavalca a Rio Bravo (“I Grandi Western” n. 121, La Frontiera 1987)
Il film è ovviamente dai costi contenuti, pochi attori e poche location, ma il romanzo è stato un successo e la star Brian Keith è una garanzia: manca solo un regista che costi poco. Cioè l’occasione per l’inesperto Peckinpah, che pare sia stato pagato esattamente la metà dell’attore Keith.


The Deadly Companion esce in patria il 6 giugno 1961 distribuito dalla Warner Bros. e arriva sugli schermi italiani il 13 agosto 1962, con l’assurdo titolo La morte cavalca a Rio Bravo: visto che il fiume non c’entra assolutamente nulla con la storia, come mai questo titolo? C’entra qualcosa che da un paio d’anni furoreggia Un dollaro d’onore con John Wayne, dal titolo originale Rio Bravo? Chissà...
Rimasto più di due anni nelle nostre sale – tra seconde e terze visioni – il film scompare letteralmente nel nulla. Ogni volta che esce un nuovo film di Peckinpah viene regolarmente ricordato, ma non viene distribuito in home video (o almeno non ne esistono tracce) e l’unico passaggio televisivo noto è del 3 febbraio 1996 sul canale a pagamento Tele+1: il film è praticamente dimenticato fino al 2015.
L’11 febbraio di quest’anno, infatti, finalmente la Cult Media lo ripresenta in una buona versione DVD e il 5 agosto scorso è stato proiettato al Locarno Film Festival in Svizzera: ciliegina sulla torta, RaiMovie l’ha trasmesso sottolineando di aver provveduto a ridoppiarlo. Questo dunque dovrebbe far pensare che il film in versione italiana sia andato irrimediabilmente perso, e che quindi è stata ridoppiata la nuova versione che dal 2007 la Reel Media sta facendo girare per il mondo.

«Ho sentito che c’è una banca nuova e uno sceriffo vecchio a Gila City. Meglio che barare a carte, no?» Così il protagonista convince due poco di buono come l’ubriacone e baro Turk (Chill Wills) e il donnaiolo pistolero Billy (Steve Cochran) a seguirlo in una nuova avventura. Ma chi è questo protagonista?
Prima ancora che molti celebri western dagli anni Sessanta sfruttino il tema dello “straniero senza nome”, il protagonista de La morte cavalca a Rio Bravo non si presenta mai: al massimo lo chiamano Yellowleg, che indica la fascia gialla sui suoi pantaloni. Cioè “nordista”, come giustamente ha scelto il doppiaggio italiano.

«Non avete un nome, oltre a “nordista”?»
«Certo, ma non importa.»

Il Nordista è una specie di Jonah Hex – gira con un’anacronistica divisa e una cicatrice sul volto, in cerca di vendetta – ma di segno opposto: l’eroe dei fumetti weird western simboleggiava il sud ferito e umiliato, mentre il Nordista simboleggia il vincitore che non ha nulla da festeggiare, solo brutti ricordi e dolore da lenire con la vendetta.
Sappiamo subito che durante la guerra il protagonista è finito in mani sudiste e un soldato ubriaco ha iniziato a scotennarlo, prima che si ribellasse e fuggisse: ora una lunga cicatrice gli corre per la fronte, così non può mai togliersi il cappello. Neanche in chiesa. Per quanto si sforzi, Brian Keith e la sua simpatica facciona tonda da bravo ragazzo proprio non rende la sete di vendetta del personaggio.

«L’odio è un sentimento che mi è molto familiare: è pericoloso, ti si ritorce contro. So di un tale che passò cinque anni a cercare un uomo che odiava, continuava a vivere solo per l’odio e per la sete di vendetta. Passò tutti quegli anni a dargli la caccia: quando lo trovò... fu il giorno più brutto della sua vita. Si sarebbe vendicato, certo, ma avrebbe perso quello per cui aveva vissuto.»




In una bisca il Nordista salva la vita al baro Turk semplicemente perché riconosce in lui il sudista che l’ha sfregiato: dopo cinque anni può finalmente avere la sua vendetta, ma forse non è ancora il momento. Vuole rimanere solo con Turk e fargli capire tutto l’odio che prova, ma questi è sempre accompagnato dal pistolero Billy e l’unica è organizzare una rapina così da farsi seguire dai due uomini in attesa dell’occasione giusta per vendicarsi.
I tre arrivano in una cittadina pronti a colpire la banca, ma sono preceduti da altri banditi: nello scontro a fuoco che ne segue, il Nordista uccide per errore il figlioletto di Kit (Maureen O’Hara), ballerina del saloon disprezzata da tutti. Distrutto dai sensi di colpa, il Nordista obbliga i suoi due compagni a seguirlo in una dolorosa impresa: proteggere il viaggio di Kit attraverso il territorio indiano per andare a seppellire il figlio nel paesino dov’è sepolto suo marito.
Tutto questo accade nei primi dieci minuti di film: il resto è un lento e forse non troppo ispirato racconto di viaggio.

Quando viaggi in territorio indiano ti aspetti che sbuchi fuori qualche indiano: comparse costose che il film non può permettersi. A parte una decina di figuranti che appaiono per pochi secondi, viene scelto di giocare la carta di un solo indiano che gioca come il gatto con il topo con il Nordista e Kit, mentre i due criminali Turk e Billy un po’ fuggono e un po’ tornano: personaggi vistosamente abbandonati in attesa del finale.
Il romanzo sicuramente saprà essere più incisivo sui passaggi che invece su schermo risultano molto lenti se non artificiosi, come tutte le scuse che vengono trovate per mostrare la bellezza della O’Hara sotto la giusta luce, dimenticando totalmente che dovrebbe essere una madre a cui hanno appena ucciso il figlioletto. La love story che ne consegue è davvero di cattivo gusto.
Del film quindi si salva l’inizio – ad eccezione dei gorgheggi della O’Hara che riempiono i titoli di testa – e la fine, con la sparatoria assolutamente non appariscente né coreografica che preannuncia quelle “sporche” e ruvide dei futuri film di Peckinpah.

Durante uno degli infiniti dialoghi del lungo viaggio, Turk rivela il suo sogno di utilizzare il denaro della prossima rapina per comprare degli schiavi indiani, dare loro una divisa e creare un proprio esercito. Ha già trovato il territorio dove instaurare il regno di cui sarà signore assoluto, dove detterà legge da cui tanto lui che Billy saranno esenti. Insomma, tramite la bocca di Turk sembra di intravvedere il futuro Mapache de Il mucchio selvaggio (1969).





  Lucius Etruscus è vice-curatore di ThrillerMagazine e redattore di SherlockMagazine, gestore del database “Gli Archivi di Uruk” e di vari altri blog, come “Fumetti Etruschi” (recensioni di fumetti di ogni genere), “Il Zinefilo” (dedicato al cinema di serie Z), il “CitaScacchi” (citazioni scacchistiche da ogni forma di comunicazione) ed altri ancora. Scrive saggi su riviste on line, ha partecipato (sia come giuria che come autore) al romanzo corale “Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?” (Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine ha raccontato le indagini del detective bibliofilo Marlowe... non “quel” Marlowe, i cui retroscena (ed altro ancora) sono narrati nel blog “NonQuelMarlowe”.
 Noi abbiamo parlato delle sue opere qui e qui.



2 commenti:

Lucius Etruscus ha detto...

Grazie dell'ospitalità ;-)
Non è certo un filmone, ma come opera prima non è niente male.

Ivano Satos ha detto...

Grazie a te Amico :) Adoro Sam Peckinpah ;)