Lucius
Etruscus
La
morte cavalca a Rio Bravo
Scomparso
da cinquant’anni dal nostro Paese, finalmente il primo film di Sam
Peckinpah torna in Italia, con un DVD e con la messa in onda di
RaiMovie. In attesa del prossimo passaggio televisivo, domenica 16
agosto alle 21.15 su RaiMovie, vale la pena raccontare qualche
retroscena.
Tutto
inizia dalla megalomania di Marlon Brando. Nel 1961 giunge a
compimento un lavoro per la Paramount che l’attore ha
capricciosamente tirato per le lunghe, visto che non era mai
soddisfatto dei nomi che gli venivano forniti alla sceneggiatura e
alla regia. Il film è I
due volti della vendetta
(One-Eyed Jacks) ed è l’unico film diretto da Brando: non gli
verrà mai più permesso di sedere sulla sedia del regista.
Tra
i vari nomi vagliati negli anni per dirigere lo sfortunato film –
da Sidney Lumet a Elia Kazan – c’è anche quello di Stanley
Kubrick, fresco di Orizzonti
di gloria.
Nel saggio Brando
Rides Alone
(2004) Barry Gifford racconta che dopo aver letto la sceneggiatura
Kubrick rivelò a Brando che non aveva ben capito di cosa parlasse il
film, e Brando gli rispose: «Parla di me che pago 250 mila dollari a
settimana a Karl Malden!» Tanto infatti prevedeva il contratto con
l’attore che interpretava lo sceriffo Longworth, e più durava la
scelta del regista più soldi andavano persi. Kubrick però non
apprezzò la risposta, e disse a sua volta: «Be’, se è di questo
che parla, credo di star girando il film sbagliato.» Kubrick passa a
dirigere quella sciocchezzuola chiamata Spartacus,
ma tra i vari nomi opzionati per lavorare al film ce n’era anche
uno in realtà totalmente sconosciuto all’epoca: il 32enne Sam
Peckinpah.
All’epoca
Sam sbarca il lunario facendo la comparsa nei film di Don Siegel –
come L’invasione
degli ultracorpi
(1956) – e dal 1957 scrive a capo chino sceneggiature su
sceneggiature per episodi di serie TV western: Have
Gun: Will Travel,
Gunsmoke,
I
racconti del West
e tanti altri nomi illustri. Ogni tanto gli fanno dirigere qualcosa,
soprattutto episodi di The
Rifleman
e The
Westerner,
ma certo ambisce ad occasioni più sostanziose. Quando Marlon Brando
lo chiama sembra davvero il momento della svolta.
Brando
possiede i diritti del romanzo La
storia di Hendry Jones
(The
Authentic Death of Hendry Jones,
1956) di Charles Neider (Mondadori 1960), che in realtà l’autore
ha ampiamente scopiazzato da The
Authentic Life of Billy the Kid
(Pat F. Garrett "Billy the Kid", ed. Longanesi 1973) scritto dallo sceriffo Pat Garrett: Billy e Pat diventano Jones e
Longworth e il gioco è fatto. Peckinpah lavora a lungo sulla
sceneggiatura ma il risultato finale non piace al divo Brando, che la
rigetta: nel 1973 Sam si “vendicherà” con il film Pat
Garrett e Billy the Kid.
Mentre
Brando continua i suoi capricci per il suo film, Peckinpah trova un
altro ingaggio. La star Maureen O’Hara e suo fratello Charles
FitzSimons, celebre produttore, hanno fondato la Carousel Productions
insieme allo scrittore Sid Fleischman per portare su schermo un
romanzo di successo di quest’ultimo: Yellowleg
(1960). Fleischman stesso si occupa di trasformare il proprio libro
in una sceneggiatura, che poi pubblicherà come novelization:
quest’ultima arriverà in Italia con il titolo del film: La
morte cavalca a Rio Bravo
(“I Grandi Western” n. 121, La Frontiera 1987)
Il
film è ovviamente dai costi contenuti, pochi attori e poche
location,
ma il romanzo è stato un successo e la star Brian Keith è una
garanzia: manca solo un regista che costi poco. Cioè l’occasione
per l’inesperto Peckinpah, che pare sia stato pagato esattamente la
metà dell’attore Keith.
The
Deadly Companion
esce in patria il 6 giugno 1961 distribuito dalla Warner Bros. e
arriva sugli schermi italiani il 13 agosto 1962, con l’assurdo
titolo La
morte cavalca a Rio Bravo:
visto che il fiume non c’entra assolutamente nulla con la storia,
come mai questo titolo? C’entra qualcosa che da un paio d’anni
furoreggia Un
dollaro d’onore
con John Wayne, dal titolo originale Rio
Bravo?
Chissà...
Rimasto
più di due anni nelle nostre sale – tra seconde e terze visioni –
il film scompare letteralmente nel nulla. Ogni volta che esce un
nuovo film di Peckinpah viene regolarmente ricordato, ma non viene
distribuito in home video (o almeno non ne esistono tracce) e l’unico
passaggio televisivo noto è del 3 febbraio 1996 sul canale a
pagamento Tele+1: il film è praticamente dimenticato fino al 2015.
L’11
febbraio di quest’anno, infatti, finalmente la Cult Media lo
ripresenta in una buona versione DVD e il 5 agosto scorso è stato
proiettato al Locarno Film Festival in Svizzera: ciliegina sulla
torta, RaiMovie l’ha trasmesso sottolineando di aver provveduto a
ridoppiarlo. Questo dunque dovrebbe far pensare che il film in
versione italiana sia andato irrimediabilmente perso, e che quindi è
stata ridoppiata la nuova versione che dal 2007 la Reel Media sta
facendo girare per il mondo.
«Ho
sentito che c’è una banca nuova e uno sceriffo vecchio a Gila
City. Meglio che barare a carte, no?» Così il protagonista convince
due poco di buono come l’ubriacone e baro Turk (Chill Wills) e il
donnaiolo pistolero Billy (Steve Cochran) a seguirlo in una nuova
avventura. Ma chi è questo protagonista?
Prima
ancora che molti celebri western dagli anni Sessanta sfruttino il
tema dello “straniero senza nome”, il protagonista de La
morte cavalca a Rio Bravo
non si presenta mai: al massimo lo chiamano Yellowleg,
che indica la fascia gialla sui suoi pantaloni. Cioè “nordista”,
come giustamente ha scelto il doppiaggio italiano.
«Non
avete un nome, oltre a “nordista”?»
«Certo,
ma non importa.»
Il
Nordista è una specie di Jonah Hex – gira con un’anacronistica
divisa e una cicatrice sul volto, in cerca di vendetta – ma di
segno opposto: l’eroe dei fumetti weird
western
simboleggiava il sud ferito e umiliato, mentre il Nordista
simboleggia il vincitore che non ha nulla da festeggiare, solo brutti
ricordi e dolore da lenire con la vendetta.
Sappiamo
subito che durante la guerra il protagonista è finito in mani
sudiste e un soldato ubriaco ha iniziato a scotennarlo, prima che si
ribellasse e fuggisse: ora una lunga cicatrice gli corre per la
fronte, così non può mai togliersi il cappello. Neanche in chiesa.
Per quanto si sforzi, Brian Keith e la sua simpatica facciona tonda
da bravo ragazzo proprio non rende la sete di vendetta del
personaggio.
«L’odio
è un sentimento che mi è molto familiare: è pericoloso, ti si
ritorce contro. So di un tale che passò cinque anni a cercare un
uomo che odiava, continuava a vivere solo per l’odio e per la sete
di vendetta. Passò tutti quegli anni a dargli la caccia: quando lo
trovò... fu il giorno più brutto della sua vita. Si sarebbe
vendicato, certo, ma avrebbe perso quello per cui aveva vissuto.»
In
una bisca il Nordista salva la vita al baro Turk semplicemente perché
riconosce in lui il sudista che l’ha sfregiato: dopo cinque anni
può finalmente avere la sua vendetta, ma forse non è ancora il
momento. Vuole rimanere solo con Turk e fargli capire tutto l’odio
che prova, ma questi è sempre accompagnato dal pistolero Billy e
l’unica è organizzare una rapina così da farsi seguire dai due
uomini in attesa dell’occasione giusta per vendicarsi.
I
tre arrivano in una cittadina pronti a colpire la banca, ma sono
preceduti da altri banditi: nello scontro a fuoco che ne segue, il
Nordista uccide per errore il figlioletto di Kit (Maureen O’Hara),
ballerina del saloon disprezzata da tutti. Distrutto dai sensi di
colpa, il Nordista obbliga i suoi due compagni a seguirlo in una
dolorosa impresa: proteggere il viaggio di Kit attraverso il
territorio indiano per andare a seppellire il figlio nel paesino
dov’è sepolto suo marito.
Tutto
questo accade nei primi dieci minuti di film: il resto è un lento e
forse non troppo ispirato racconto di viaggio.
Quando
viaggi in territorio indiano ti aspetti che sbuchi fuori qualche
indiano: comparse costose che il film non può permettersi. A parte
una decina di figuranti che appaiono per pochi secondi, viene scelto
di giocare la carta di un solo indiano che gioca come il gatto con il
topo con il Nordista e Kit, mentre i due criminali Turk e Billy un
po’ fuggono e un po’ tornano: personaggi vistosamente abbandonati
in attesa del finale.
Il
romanzo sicuramente saprà essere più incisivo sui passaggi che
invece su schermo risultano molto lenti se non artificiosi, come
tutte le scuse che vengono trovate per mostrare la bellezza della
O’Hara sotto la giusta luce, dimenticando totalmente che dovrebbe
essere una madre a cui hanno appena ucciso il figlioletto. La love
story
che ne consegue è davvero di cattivo gusto.
Del
film quindi si salva l’inizio – ad eccezione dei gorgheggi della
O’Hara che riempiono i titoli di testa – e la fine, con la
sparatoria assolutamente non appariscente né coreografica che
preannuncia quelle “sporche” e ruvide dei futuri film di
Peckinpah.
Durante
uno degli infiniti dialoghi del lungo viaggio, Turk rivela il suo
sogno di utilizzare il denaro della prossima rapina per comprare
degli schiavi indiani, dare loro una divisa e creare un proprio
esercito. Ha già trovato il territorio dove instaurare il regno di
cui sarà signore assoluto, dove detterà legge da cui tanto lui che
Billy saranno esenti. Insomma, tramite la bocca di Turk sembra di
intravvedere il futuro Mapache de Il
mucchio selvaggio
(1969).
Lucius Etruscus è vice-curatore di ThrillerMagazine e redattore di SherlockMagazine, gestore del database “Gli Archivi di Uruk” e di vari altri blog, come “Fumetti Etruschi” (recensioni di fumetti di ogni genere), “Il Zinefilo” (dedicato al cinema di serie Z), il “CitaScacchi” (citazioni scacchistiche da ogni forma di comunicazione) ed altri ancora. Scrive saggi su riviste on line, ha partecipato (sia come giuria che come autore) al romanzo corale “Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?” (Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine ha raccontato le indagini del detective bibliofilo Marlowe... non “quel” Marlowe, i cui retroscena (ed altro ancora) sono narrati nel blog “NonQuelMarlowe”.
2 commenti:
Grazie dell'ospitalità ;-)
Non è certo un filmone, ma come opera prima non è niente male.
Grazie a te Amico :) Adoro Sam Peckinpah ;)
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