mercoledì 28 ottobre 2015

"Una Donna Chiamata Apache" di Giorgio Mariuzzo







     Una pattuglia di soldati fa irruzione in un campo dove alcuni indiani, fuggiti dalla riserva, si sono accampati.
 Il cambio di inquadrature, dalla gestualità dei soldati e quella degli indiani, mostra sin dall'inizio la differenza tra le due culture. I bianchi che in maniera quasi ossessiva-compulsiva ritualizzano i gesti della battaglia imminente, gli apache che invece mostrano una gestualità quotidiana pacifica.
 Un madrigale di odio si riversa su quel campo, ritmato dai colpi di pistole e fucili. Tommy (Al Cliver), un pivello proveniente dalla città, cade quasi subito da cavallo. Egli viene abbandonato quando i suoi commilitoni, inseguiti dai guerrieri della tribù appena giunti al villaggio, decidono vigliaccamente di ritirarsi, dopo aver ucciso vecchi, donne e bambini. (video)
 Ripresosi dalla caduta, Tommy scopre una ragazza sopravvissuta al massacro. La ragazza si chiama Sunsirahe (Yara Kewa), ma per facilitare le cose Tommy decide di chiamarla semplicemente Apache. In mezzo a quel macello di cadaveri giunge Honest Jeremy (Corrado Olmi), una specie di sciacallo giunto a ripulire le carcasse. Messo k.o. Tommy, Jeremy carica tutti i beni, compresa la ragazza, sul carro e si allontana.
 Poco dopo, Tommy si risveglia con un peso in testa ma con il corpo alleggerito... pronto per un pellegrinaggio degno dei carmelitani scalzi.
 Nel vecchio West il furto è soggetto al karma, il quale si estende sullo stesso Jeremy. Lo sciacallo viene infatti pestato dai suoi due "soci", Keith Frankie (Rocco Oppedisano), per rispettare una corretta divisione dei beni. Sunsirahe non condivide questo socialismo pallido a carico del suo corpo, fugge quindi mezza nuda dopo aver rubato uno dei cavalli.
 Tommy, sperduto e scalzo, si unisce alla fuga di Sunsirahe e alle sue peripezie.




 Durante il viaggio, Tommy vivrà un rapporto conflittuale con la ragazza. Sunsirahe è per lui una salvatrice, poiché senza di lei non riuscirebbe a sopravvivere in quelle terre selvagge, ma contemporaneamente lei appartiene a quella stessa razza di uomini che massacra i suoi commilitoni. Questo conflitto nasce soprattutto dal suo senso di colpa per essere un sopravvissuto, ma tale non per qualità proprie bensì per passiva fortuna e dipendenza dalla stessa Sunsirahe. I suoi movimenti sgraziati e la sua inadeguatezza ben contrastano con l'eleganza di lei.




Contrasto che diventa ben più estremo se prendiamo in considerazione i personaggi incontrati dalla coppia. Il viaggio picaresco mostrerà un'America costellata da una popolazione di psicopatici che andranno a costituire le folle stazioni verso Fort Cob, meta dell'errare di Tommy.
 Queste stazioni hanno come contraltare il legame sempre più stretto che si verrà a creare tra Tommy e Sunsirahe.




 Chiari i riferimenti al "Soldier Blue" (Soldato blu), anche se nel film di Ralph Nelson non abbiamo un'indiana ma una ex prigioniera bianca dei  Cheyenne, interpretata da una bellissima e ultrasboccata Candice Bergen. Sarà proprio lei a battezzare il soldato Honus Gent, interpretato da Peter Strauss, con il nomignolo di Soldato Blu. Nel film di Giorgio Mariuzzo l'ironia viene invertita, passando dall'alienazione militare alla depersonalizzazione colonialista e razzista.
 Il forte, in entrambi i film, rappresenta la meta del viaggio ma anche il simbolo della realtà e la fine quindi del sogno. Il viaggio è la componente che più risente della metabolizzazione avvenuta nell'italico viscere. Esso diviene, come abbiamo detto, un percorso tra personaggi la cui malvagità è degna di un film horror o di un revenge movie. Il percorso esistenziale, che in "Soldato Blu" costituisce la perla racchiusa in un'ostrica fordiana malata, si trasforma, nell'opera di Mariuzzo, in una perdita di quella purezza tanto tenacemente cercata.
 "Una Donna Chiamata Apache" ha dei forti elementi comici nella parte iniziale, ma diviene improvvisamente straziante. Se nell'opera di Ralph Nelson ciò si realizza per il cieco odio dei militari verso i Nativi, nella sua rivisitazione l'effetto straniante è frutto della stessa natura umana, divenuta ormai libera dai limiti morali vigenti nella civiltà grazie a quel processo di liberazione attuato dalla già citata deumanizzazione del diverso. Potremmo dire che in "Una Donna Chiamata Apache" il dramma della moltitudine diviene il dramma della coppia. Entrambi, con le dovute differenze, capaci di stringerti le viscere e di colpirti in un modo talmente violento che sarà difficile dimenticare.




4 commenti:

Lucius Etruscus ha detto...

Uh che chicca! Anche la splendida locandina si rifà chiaramente a Soldato Blu, con la ragazza dalle mani legate sulla schiena.

Ivano Satos ha detto...

Verissimo Lucius. Ci son molti elementi in comune tra i due film, specialmente i pugni nello stomaco...

Lucius Etruscus ha detto...

Ovviamente anche questo splendido post finisce "linkato" nei prossimi palinsesti televisivi, sperando che il film conosca passaggi in TV...

Ivano Satos ha detto...

Con quel finale la vedo difficile... Comunque grazie mille amico ;)