lunedì 2 novembre 2015

Emanuela Monaco - Manitù e Windigo. Visione e antropofagia tra gli algonchini.




     Dopo il mio articolo sul Wendigo, ho deciso di pubblicare per intero la recensione del libro di Emanuela Monaco, utilizzato nell'articolo stesso per delineare l'analisi antropologica del fenomeno wendigo. Recensione completa in cui risultano presenti elementri trascurati nell'articolo precedente, come l'istituto Midewiwin, mentre vengono solo accennati alcuni particolari dello studio sulla figura del wendigo. Il saggio della Monaco risulta fondamentale anche per comprendere l'evoluzione della visione puberale dopo il contatto tra gli Algonchini e l'uomo bianco.






     "Manitù e Windigo. Visione e antropofagia tra gli Algonchini" ( 216 pagine, II ed. 1996. collana "Chi Siamo", Bulzoni Editore) riunisce in un unico volume quattro lavori dell'antropologa  Emanuela Monaco, i quali costituiscono le successive tappe di un unico progetto di ricerca, cioè quello di avvicinare le culture indigene  nord-americane attraverso l'analisi della visione puberale, fonte per i giovani per l'acquisizione degli spiriti guida.
La visione puberale era un elemento fondamentale, in almeno la metà delle popolazioni native del Nord America,  per l'acquisizione di quei tratti caratteristici della maturità.
 All'età di quattordici-quindici anni il giovane indiano dipingeva di nero il suo viso e si allontanava dal villaggio. Attraverso un periodo di digiuno, egli liberava la sua coscienza, divenendo soggetto a visioni. Queste visioni, che potevano insorgere durante la veglia o durante il sonno, gli permettevano di entrare in contatto con entità super-umane. La forma che egli vedeva per prima o che vedeva più spesso, costituiva il suo manitù guardiano. Poteva essere un animale o una forma inanimata.
 La visione dello spirito guardiano era fondamentale per indirizzare l'esistenza dell'individuo e il suo ruolo all'interno della tribù. Egli riceveva attraverso la forma assunta dalla visione specifiche qualità e prerogative. La visione di un animale indicava che il ragazzo avrebbe acquisito le capacità tipiche di quell'animale. La robustezza dell'orso, la capacità di cacciare di un lupo, ecc. Stesso dicasi per gli oggetti. Se l'indiano avesse avuto la visione di una parete rocciosa ciò avrebbe indicato una notevole resistenza agli insulti di frecce e lame.
 La ritualità della visione puberale accomunava quindi gli individui nell'acquisizione del ruolo di adulti, ma contemporaneamente li differenziava attraverso qualità e prerogative differenziate. La visione puberale era anche una forma di contrasto alla stratificazione sociale, che risulta invece diffusa in altre società del passato. Una forma di meritocrazia disciplinata dal rito, non basata quindi su capacità dimostrate ma basata in realtà sull'efficacia della visione puberale e sull'azione del manitù che avrebbe sempre guidato e aiutato l'individuo. La stabilità nel tempo di questo legame tra individuo e manitù veniva ben rappresentata dal tatuaggio, forma di vestizione permanente attraverso cui si evidenziava l'unione nata dalla visione puberale.
 Altra rappresentazione di questo legame tra l'individuo e il suo spirito guida è il sacchetto di medicina. La medicina viene raffiguarata sempre attraverso una visione. L'indiano raccoglie quindi la pianta indicatagli e la conserva in un sacchetto come amuleto Solo il suo proprietario conosce la natura della sua medicina e solo lui può toccarla. Il ragazzo doveva poi cercare l'animale comparso nella visione, ucciderlo e conservare una parte di quella creatura. Ciò avrebbe costituito per sempre il suo totem.
 Dall'importanza del digiuno, come fonte della visione puberale, deriva l'educazione al digiuno. I bambini venivano abituati al digiuno a partire dai quattro anni di età, prima rimanendo senza acqua e cibo per un giorno e poi aumentando fino a quattro giorni. Durante la pubertà il digiuno era prolungato il più possibile al fine di ottenere una visione. Erano i genitori che decidevano quando il proprio figlio avesse dovuto effettuare il rito della visione puberale, rito che era obbligatorio per i maschi e volontario per le ragazze. Entrambi annerivano il proprio volto, ma se le ragazze vagavano da sole poco distanti dal villaggio, i ragazzi sostavano su pedane costruite sugli alberi o in altri tipi di ripari.
 L'acquisizione del legame con lo spirito guida dava origine a qualità specifiche riconducibili alla tipologia di manitù con il quale tale legame veniva istaurato, ma bisogna specificare che tali capacità non derivavano da un trsferimento soprannaturale bensì da una forma di apprendistato. La visione dispiegava all'adolescente il sapere specifico ed esclusivo inerente una determinata attività.
 La condivisione di uno stesso spirito guida non corrisponde alla stessa visione e quindi all'acquisizione delle stesse capacità acquisite. Il legame tra spirito guida e indivisuo è sempre specifico e irripetibile, così come risulta essere il destino dell'individuo e il suo ruolo all'interno della società.
 L'assenza di visioni rendevano l'individuo privo di un ruolo definibile all'interno della tribù e contemporaneamente inducevano in esso un comportamento vile, derivante dalla consapevolezza di essere suscettibile agli eventi avversi, non usufrendo di uno spirito guida. Contemporaneamente, un individuo a cui venivano elargite ricche visioni poteva eccellere in moltissime attività, legate sempre alla natura del suo spirito guida. Questo dono poteva comunque indurre una forma di narcisismo tale da portare l'individuo a  ritenere le sue capacità come doti frutto del proprio essere divino e non conseguenza dell'apprendistato concesso dall'entità super-umana. L'uomo diveniva quindi condannato a fallire nel suo agire come conseguenza della non accettazione della propria umanità. L'incarnazione continua nel tempo poteva sì realizzarsi, ma era in realtà un evento eccezionale limitato solo ai grandi visionari.
 Potevano verificarsi anche incarnazioni della divinità ma circoscritta nel tempo. Tale trasformazione poteva realizzarsi in determinati momenti, come ad esempio in guerra o nei riti sudatori, ma anche in una forma che potremmo definire di "criptobiosi". Negli inverni rigidi l'indiano poteva abbandonare la sua forma umana e acquisire quella del manitù, annullando la componente umana. Questa trasformazione, finalizzata a conservare la vita del Nativo, rientra nella protezione elargita dallo spirito guardiano.





 Nel quarto capitolo viene analizzato l'istituto Midewiwin e il suo rapporto con la visione puberale. Hickerson afferma che il Midewiwin, o Loggia di Medicina, era costituito da un insieme di cerimonie officiate da un sacerdozio organizzato, generalmente maschile, che aveva sia il potere di curare sia il potere di uccidere attraverso particolari erbe e rituali. La casta sacerdotale risulta particolarmente chiusa, accessibile solo dopo un percorso iniziatico, suddiviso in gradi, e i cambio di oggetti di valore.
 Si ha quindi un passaggio da un percorso iniziatico istituzionalizzato, ma vissuto in modo individuale, a un percorso standardizzato e condiviso. Contemporaneamente si ha il passaggio da un'apprendistato libero, attraverso il rapporto diretto con lo spirito guida apparso nella visione puberale, a una iniziazione lucrosa. La spiritualità diviene quindi monopolio di una casta. Midewiwin colma i limiti delle visioni, ma contemporaneamente sono le stesse visioni, individuali o degli sciamani, a indirizzare verso Midewiwine e a dar a questo autorità. Ciò dimostra che le visioni continuano ad avere un ruolo fondamentale, se pur integrate dal Midewiwi. In essa l'iniziato vedeva infatti il manitù, ma lo vedeva tramite la rappresentazione attuata da un soggetto già iniziato, schermo quindi tra l'individuo e gli spiriti. Il digiuno, ovvero la privazione del cibo, veniva sostituito dal pagamente, ovvero attraverso la privazioni di beni.
 Quella "meritograzia", di cui abbiamo parlato inizialmente, cede il passo alla stratificazione sociale, poiché grazie al Midewiwi l'agiatezza economica diverrà fonte di legame con i manitù, e quindi base per l'assunzione dei più alti gradi iniziatici.
 Tale istituto viene considerato una conseguenza del contatto con l'uomo bianco, una forma di mediazione tra l'antica e la nuova realtà. A prova di ciò vengono elencati una serie di punti.






Nel quinto capitolo viene affrontata la figura del Wendigo, entità legata alla visione puberale e ai tabù alimentari.
 Negli Algonchini, l'educazione all'interazione con le entità super-umane era contemporaneamente educazione all'alimentazione, fonte del tabù dell'antropofagia.
 Attraverso lo studio di  Christopher Vecsey, Traditional Ojibwa Religion and Its Historical Changers, possiamo approfondire le cause che portavano un individuo a diventare un Wendigo: il pericolo di morte per inedia; la stregoneria; l'acquisizione del Wendigo come spirito guardiano; la possessione.
La quarta causa risulta fondamentale. La capacità propria del Wendigo di indurre possessione lo distingue da tutte le altre entità super-umane. Questa differenziazione può evidenziare un'origine più antica, o al contrario più recente, del Wendigo rispetto alla concezione degli spiriti guida. Bisogna comunque affermare che il periodo di crisi, derivante dall'espansione del dominio dei bianche e dalla caccia sfrenata agli animali da pelliccia, indusse un aumento dei casi di cannibalismo, ma anche un aumento delle dinamiche aggressive all'interno delle tribù, con conseguente utilizzo di capri espiatori, come appunto le persone ritenute Wendigo.
 Era possibile curare un Wendigo? Nella maggior parte dei casi la risoluzione del problema era rappresentata dall'uccisione e dal successivo rogo, in alcuni casi avveniva il suicidio del soggetto o il suo bando dalla tribù. Un metodo per guarire era la somministrazione di notevoli quantità di grasso di orso.
 Questo rito, che mira a liberare l'uomo dalla possessione del Wendigo, rappresenta perfettamente quel solco che separa la concezione di giusto e sbagliato all'interno della cultura algonchina. Il giusto rapportarsi ai manitù attraverso la visione, l'educazione al digiuno per raggiungere lo stato di visionario, la visione come base per instaurare rapporti sociali attraverso il ruolo derivante dall'apprendistato intercorso con lo spirito guida, la caccia come attività legata all'alimentazione e la selvaggina come nutrimento corretto sono tutti elementi che si oppongono a quelli collegati all'entità Wendigo, ovvero la possessione in sostituzione della visione, l'incapacità di controllare la fame, l'utilizzo di carne umana in sostituzione della selvaggina, la trasformazione dei propri simili da soggetti di rapporti sociali in oggetti di alimentazione, ecc. L'opposizione del Wendigo al concetto di vita si manifesta anche con il modo in cui viene descritto, ovvero uno scheletro di ghiaccio. Egli nega quindi doppiamente la vita, poiché lo scheletro evoca la morte umana e il ghiaccio evoca una natura che non nutre.




2 commenti:

Lucius Etruscus ha detto...

Ottima iniziativa e splendida recensione, ormai il Wendigo e mio amigo :-D

Ivano Satos ha detto...

Inviterà anche a te per il cenone ;)