lunedì 30 novembre 2015

"The Burrowers" di J. T. Petty






     11 agosto 1878, Territorio del Dakota. Un insediamento di pionieri viene attaccato dai Pellerossa. La famiglia Stewart si rifugia in cantina, mentre nella notte risuonano urla disperate. Improvvisamente il silenzio. Uno sparo. Due. Tre.
 Qualcosa si muove in quella casa, facendo risuonare nella cantina un rumore inquietante in grado di amplificare l'ansia e l'attesa. Attesa che cessa quando si squarcia il soffitto del rifugio. Poi solo buio. Buio e urla.
 La mattina dopo, Fergus Coffey (Karl Geary), il fidanzato di Maryanne Stewart (Jocelin Donahue), e John Clay (Clancy Brown) si recano all'accampamento. Qui trovano alcuni corpi, ma non quello di Maryanne. Insieme a lei sono scomparse altre sei persone.
 Fergus chiede l'aiuto di  William Parcher (William Mapother), ex soldato ed esploratore. I due, a cui si aggiunge Dobie Spacks (Galen Hutchison), il giovane figlio della donna frequentata da William, si recano all'accampamento. Parcher scopre che i corpi delle figlie di Williams hanno avuto delle emorragie ridotte, mentre Fergus osserva la presenza di una strana buca nei pressi delle case. 
 L'arrivo dell'esercito non facilita la situazione di Fergus, che avrebbe voluto partire immediatamente per cercare di salvare la sua amata. Il problema non è tanto il seppellimento dei cadaveri presenti nell'accampamento, quanto la strategia di ricerca del comandante Henry Victor (Doug Hutchison), i cui metodi risultano particolarmente estremi...
 Il bivacco notturno intorno al fuoco diviene il momento di incontro tra le diverse anime dell'America. L'emarginazione e la dignità afroamericana si fondono con quella irlandese, il dolore di un orfano di guerra con il sadismo dei militari. Il bivacco diviene come sempre l'alambicco di una folle miscela alchemica, capace di generare una consapevolezza sempre superiore a quella precedente. Una consapevolezza riguardo anche alla collocazione dell'uomo nella catena alimentare. In quelle terre vi sono esseri ben più crudeli dei Nativi. Pericoli che gli stessi Pellerossa temono e che chiamano Burrowers, "Scavatori di Tane".




 La consapevolezza di un orrore in agguato ci accompagna per tutta la visione. Ogni movimento, compiuto dai diversi personaggi, ci arrecherà uno stato di agitazione, poiché non sapremo mai quando quegli esseri si affacceranno sul loro percorso, così come alla nostra vista, ma siamo consapevoli che lo faranno nei momenti più inaspettati. Le isole di spensieratezza sprofondano improvvisamente, lasciando una palude da cui emergono incubi embrionali.



 Se in "Bone Tomahawk" il viaggio diviene, come nelle opere di L'Amour, un mezzo di evoluzione esistenziale, quasi una forma di iniziazione, qui si trasforma in un percorso di corruzione, una regressione verso l'egoismo.
 I trogloditi prenderanno forma e sostanza in questi uomini che, investiti da un fine superiore, vedranno improvvisamente l'inferno innanzi a loro.




 Le riprese dal basso, quasi raso terra, tipiche di Sergio Leone, qui vengono estremizzate ancor più, come se fossero trasmesse dagli occhi strabici di un corpo dissepolto. La terra diviene pulsante e protagonista del film, in eterna contrapposizione con la realtà di superficie. Un conflitto ancestrale tra Luce e Buio, che qui viene rivisitato in chiave western, genere in cui le membrane tra i due mondi risultano fisiologicamente permeabili.
 "The Burrowers" è terra. Terra che rivaleggia con la superficie certo, ma non per contaminarla. Rivaleggia con essa nella capacità di distruggere e infliggere dolore. "The Burrowers" è la terra che lentamente, sin dall'inizio del film, ci sta ricoprendo. Lentamente, ma inesorabilmente.




 Come per "Condenados a vivir" (Cut-Throats Nine, 1972) , anche per quest'opera devo ringraziare Mario Raciti, autore dei fantastici blog Western Campfire e Libreria Western, se amate il West e il western non potete che divorarli. Mario è anche autore dell'ebook "Dizionario dei film western", oltre che creatore, organizzatore e curatore della collana “Ombre Bianche”, edita da Villaggio Maori.
 Mario, soprattutto, è la dimostrazione che tra blogger, anche quando si trattano gli stessi argomenti, ci può essere amicizia e complicità. Grazie ancora di Tutto Amico!!!




6 commenti:

Lucius Etruscus ha detto...

Strepitoso! Della mia scorpacciata weird western dell'estate 2014 è stato l'unico che mi abbia davvero colpito e intrigato. Ottimo post ;-)

Ivano Satos ha detto...

Grazie Mille Lucius!!! Pubblicherò un bel po' di weird western nelle prossime settimane ;) Grazie ancora Amicius!!!

Bruno ha detto...

L'ho visto! Veramente sinistro e orrorifico. E inatteso, essendo un western.

Ivano Satos ha detto...

Condivido in pieno Bruno! Il finale poi ti lascia veramente di stucco ;)

MarioR ha detto...

E rieccomi a ringraziarti ancora una volta sia per l'articolo, breve ma efficace, sia per le righe finali. Onorato e felice di avere la tua amicizia.
Ciao e a presto!

Ivano Satos ha detto...

L'articolo è tutto merito tuo Mario! Grazie ancora Amico!!! A presto!