martedì 24 febbraio 2015

"E Dio disse a Caino..." di Antonio Margheriti (1970)






 Carcerati ai lavori forzati sotto le frustate del sole. Tra questi vi è Gary Hamilton (Klaus Kinski) che viene graziato improvvisamente. Gary Hamilton resta immobile a capo chino, mentre i carcerati sfilano ai suoi lati. La scena sembra rubata ad una chiesa durante l'investitura per la sua drammaticità.
 Su una diligenza ascolta i discorsi di un ragazzo, Dick, con due dame. Gary scopre così che il ragazzo è il figlio di Acombar, il padrone della miniera.
 Questo è un momento magico per l'estetica del film. La drammaticità, con cui Klaus Kinski alza il capo e osserva il giovane Dick, dimostra la potenza espressiva dell'attore. Se egli fosse nato un trentennio prima avrebbe dominato il cinema muto tedesco. Il suo volto ha la potenza mistica del monte Sinai.
 Gary chiede a Dick di avvisare il padre che egli andrà a trovarlo al tramonto. Sceso vicino al deserto, per acquistare un cavallo e un fucile, dimentica la borraccia sulla diligenza.
 Dick, una volta a casa, racconta l'episodio al padre, mostrandogli la borraccia. Alla pronuncia del suo nome il tempo si ferma. Si sente quasi il sangue che solidifica nelle vene di Acombar e dei suoi sgherri. Una volta soli, questi guardano la borraccia come fosse il patto col diavolo. Quella borraccia è infatti la prova che utilizzarono per far ricadere la colpa della loro rapina, e omicidio, su Hamilton.
 Acombar ha il terrore che suo figlio possa scoprire la sua vera anima. Ordina quindi di uccidere Gary.





 Quella sera la città si trasforma in un terreno dissodato da un esercito di pistoleri. Hamilton è come il vento che fischia tra le armi di quella gente, un vento che lo mimetizza quasi nella consapevolezza di servire un essere ben più potente del tornado che esso annuncia.
 Klaus Kinski ha la fierezza di un cavaliere medievale. Il cavaliere di un sacro ordine privo di misericordia e dotato di una ritualità agghiacciante. In questo western oscuro, e sotterraneo come Joko invoca Dio... e muori, Antonio Margheriti compone una galleria degli orrori che si esibisce, in una notte assediata da un tornado, come il paesaggio di un incubo gotico. I modi e i luoghi della morte sono visioni surreali che fioriscono in un notturno di dolori e sensi di colpa.







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