venerdì 13 novembre 2015

Ken Parker "Un uomo inutile" n°19






Fort Sill, Oklahoma. La vita dei soldati del forte scorre tranquilla, tra scherzi ed esercitazioni. Fino a quando..



Proprio in questa situazione di preallarme, il sergente Mc Cabe, a poche ore dal pensionamento, riceve un compito estremamente delicato: scortare la moglie del Colonnello Whitaker fino alla stazione di Wichita Falls. Le cose però non vanno come sperato, gli indiani infatti non tardano  a mostrare le loro penne.



Grazie a Dio, Ken Parker è nelle vicinanze di quella polverosa aggressione. Pensate forse che non prenderà la palla al balzo per compiere una buona azione e per svincolarsi da una situazione un po' imbarazzante?




 Preparatevi quindi a saltare in un'avventura piena di fughe e agguati, ma soprattutto piena di bastardi fino all'osso!




martedì 10 novembre 2015

Il cannibalismo tra i Nativi dell'America Settentrionale.



Dance Feast, Dance Societies of the Hamatsa


 Nell'ultimo post abbiamo recensito il fantastico "Bone Tomahawk" di S. Craig Zahler. Spesso abbiamo parlato di antropofagia in KMA, lo abbiamo fatto con John "Liver-Eating" Johnson e con Alfred G. "Alferd" Packer. Attraverso l'articolo sul Wendigo ne abbiamo approfondito l'aspetto antropologico tra gli Algonchini. Non per tutti i popoli del Nord America il cannibalismo era un tabù. Possiamo analizzare la diffusione e la ritualità dell'antropofagia nell'America Settentrionale attraverso l'opera "Il Cannibalismo" di Ewald Volhard. L'autore suddivide quattro aree geografiche di studio: Litorale nord occidentale; Territorio delle Foreste orientali; Praterie; California.


Hamatsa Emerging from the Woods (1914)
  Litorale nord occidentale. In questa area erano poche le tribù che attuavano il cannibalismo, la più famosa è quella dei Kwakiutl. L'antropofagia risultava comunque essere un fenomeno tribale originario del popolo Heiltsuk, insediato nel Central Coast Regional District della Columbia Britannica.
 Nei Kwakiutl era presente una particolare associazione detta degli "Hamatsa". I membri di questa confraternita, in cui erano praticati riti antropofagici, presentavano il viso pitturato completamente di nero o, in alternativa, con due linee rosse omolaterali che univano l'angolo della bocca e le orecchie
 Questa società segreta derivava dal mito di  Baxbaxwalanuksiwe, detto a volte Baxbakualana Xiwae. Erano diverse le versioni di questo mito, ma tutte si basavano su alcuni elementi fondamentali. I quattro figli di NaWaka'Wa si perdono durante una battuta di caccia. Entrati in una casa, in cui il fumo del fuoco è di colore rosso, si accorgono di essere giunti in un covo di cannibali. La casa è infatti abitata da una vecchia strega, chiamata Qominoqa o Dzunukwa, il suo compito è quello di procacciare vittime per Baxbaxwalanuksiwe, un gigante divoratore di uomini, accompagnato da tre, secondo alcuni quattro, uccelli divoratori di uomini.
 Secondo la versione più diffusa, il modo in cui i quattro fratelli scoprirono di trovarsi al cospetto di cannibali, risulta legato a una forma attenuata di uno dei tre riti antropofagi degli Hamatsa che vedremo in seguito. Uno dei fratelli si ferì a causa di un rovo, la donna, presente nella casa dal fumo rosso, chiese a questi di strofinare un bastoncino di legno sull'escoriazione. Ottenuto ciò, ella diede a suo figlio tale bastoncino per succhiare il sangue di cui risultava intriso.
Dopo l'uccisione di Baxbaxwalanuksiwe, i fratelli acquisirono il diritto di possesso sugli oggetti trovati nella sua dimora, e con essi il loro potere. Tali oggetti, che verrano utilizzati nei successivi riti degli Hamats, erano: una maschera di Huxhukw, o Hokw-Hokw, un uccello sovrannaturale, simile a una gru gigante, in grado di nutrirsi del cervello degli uomini grazie al robustissimo becco; una maschera del corvo; alcuni fischietti; una maschera dell'orso; alcuni costumi rituali; un palo sacro.
Il diritto di divenire hamatsa veniva acquisito attraverso nascita nobiliare o contraendo matrimonio con le discendenti di famiglie aventi questo diritto. La preparazione dell'iniziato durava circa quattro anni.  Il novizio, per poter essere ammesso nell'associazione, doveva ritirarsi nei boschi per tre o quattro mesi, al fine di entrare in contatto con gli spiriti. Nella foresta egli doveva effettuare delle frequenti abluzioni con acqua fredda per purificarsi dall'odore umano. Durante la festa delle danze invernali,  egli faceva ritorno al villaggio, pronunciando il rituale pianto dello spirito affamato: "Hap!" Egli aggrediva chiunque giungesse alla sua portata, strappando a morsi brandelli di carne da  braccia e petto, che ingeriva avidamente per poi bere dell'acqua calda. Immediatamente al suo ingresso nel villaggio, accorrevano i suoi dodici servi, salalila, ruolo ereditato in linea maschile, che avevano il compito di circondarlo e calmarlo, attraverso alcune raganelle, non appena raggiungeva l'estasi, al fine di impedirgli di aggredire i membri delle varie famiglie invitate. Lo stato di estasi veniva raggiunto grazie a un elemento catalizzatore, la cui visione o la sola pronuncia del nome induceva uno stato dki alterazione.
 Oltre ai servitori, risultava importantissimo il ruolo della Hiligaxste, una parente stretta del novizio, la quale attirava l'estatico, attraverso la sua danza, nella stanza sacra. La Hiligaxste utilizzava per la sua danza uno scudo che raffigurava la sagoma umana. Dopo che gli anziani erano riusciti a domare il novizio, egli veniva spogliato dei rami di cicuta che decoravano il suo corpo, per essere vestito con il costume sacro, costituito da una corona, un collare, bracciali, cavigliere e gonna. Tutti questi elementi erano costituiti con corteccia di cedro rosso, pianta in grado di mantenere la calma nel novizio.





 Il primo pasto cannibalico doveva avvenire all'interno dell'associazione e solo dopo il trascorrere del periodo iniziatico. Dopo di ciò, il novizio aveva il diritto di attaccare alla sua maschera il primo dei teschi umani scolpiti nel legno che andranno a decorare tale manufatto dopo ognuna di tali feste.
  La ritualità degli Hamatsa prevedeva l'utilizzo di salme trattate specificatamente per la fine del noviziato. I cadaveri dei  Kwakiutl erano inseriti in casse disposte sugli alberi della foresta, in maniera tale da indurre una mummificazione naturale. Dopo il periodo di isolamento, lo hamatsa prelevava la salma di un parente, che sarebbe stata mangiata al termine delle danze. Il corpo mummificato veniva adeguatamente trattato dai servitori, veniva quindi immerso in acqua salata e infilzato sottocute con alcuni rametti in maniera da favorire il distacco della carne. Il corpo, dopo essere stato affumicato, veniva ridotto in piccoli bocconi per favorirne l'assunzione da parte degli Hamatsa, a cui non era permesso di masticarlo, grazie ad abbondanti sorsate di acqua. Al termine del pasto, gli Hamatsa venivano condotti a mare dove si immergevano ripetutamente. A termine di ciò essi uscivano dallo stato di trance. Secondo alcune fonti, l'ingestione dell'acqua marina induceva il vomito della carne ingerita, onde evitare intossicazioni. Al termine del rito i servitori risarcivano le persone aggredite.
 Per poter nutrire lo hamatsa era prevista anche l'uccisione di schiavi. Secondo l'antropologo Franz Boas, questa pratica era legata ai costumi bellici, in quanto rappresentazione simbolica della vittoria sulla popolazione di appartenenza dello schiavo, che veniva officiata innanzi alla propria tribù. Lo schiavo era liberato e inseguito dai guerrieri che lo uccidevano. Il cadavere veniva circondato dagli uomini-orso che avevano il compito di smembrare il corpo e consegnare la carne prima allo hamatsa più nobile, per poi arrivare a quello minore. Queste cerimonie divennero meno cruente col tempo. Gli Hamatsa non straziavano più le carni delle sue vittime, ma si limitavano a causare delle escoriazioni da cui bere il sangue. Veniva quindi tagliato un pezzettino di pelle, da usare durante la danza, per poi essere riconsegnato al suo proprietario alla fine del rito.
 Le ossa degli schiavi erano accatastate sul lato settentrionale dell'abitazione, al fine di celarle dalla luce del sole. Alla quarta notte successiva al rito, le ossa venivano prelevate, legate, zavorrate con un grosso sasso e gettate in acque profonde. Questa usanza aveva lo scopo di evitare il ritorno di spiriti malevoli.
I conclusione possiamo distinguere tre riti cannibalici all'interno dei Kwakiutl: aggressione di persone vicine durante lo stato di estasi; uccisione di uno schiavo, il cui cadavere veniva divorato dagli hamatsa; utilizzo di salme appositamente preparate per lo hamatsa.
L'associazione segreta degli Hamatsa penetrò anche all'interno dei Bilchula, dove prendeva il nome di "Alla-Kotla", lo spirito responsabile del "rapimento" a carico del novizio. Dopo che Alla-Kotla riportava sulla superfice terrestre il novizio, egli gli ordinava di mordere le persone presenti alla danza rituale, in caso contrario lo spirito avrebbe divorato le sue carni.


Territori delle Foreste orientali. Sono moltissimi i casi osservati in questa seconda area geografica, anche se principalmente legati a riti bellici, in cui l'atto cannibalico era limitato al cuore del nemico ucciso, o all'antropofagia in caso di carestia.
 William Keating indica presso i Potawatomi l'esistenza di una confraternica i cui membri avevano il dovere e il diritto esclusico di cibarsi della carne dei nemici uccisi. A tal fine la carne dei nemici uccisi in battaglia venivano essiccate, per poterla portare al villaggio dopo una battaglia. I membri della confraternita dovevano raggiungere l'unanimità in caso di acquisizione di un guerriero all'interno dell'associzione.


The Pawnee Morning Star ritual of human sacrifice


Prateria. I riti di fertilità utilizzati dai Pani (Pawnee) rappresentavano un'evoluzione sempre cruenta ma priva della componente antropofaga originaria caratteristica dell rito primigenio introdotto insieme al mais dal vicino territorio messicano. Tale rito si svolgeva durante il 22 aprile all'apparizione della Stella del Mattino. La vittima veniva posta su una piccola piattaforma, disposta tra due alberi e al di sopra di un fuoco, per essere trafitta dalle frecce scoccate dagli archi dei guerrieri, fino ad esserne completamente ricoperta. Le frecce venivano quindi rimosse e si asportavano pezzi di carne, per poi portarli ancora caldi presso il campo di mais, dove il capo ne spremeva il sangue sulle sementi. Gli altri membri della tribù seguivano l'atto compiuto dal capo.
 In un'altra versione del rito, dopo aver estratto tutte le frecce, veniva aperto il torace della vittima, inserita la mano nella cavità ed estratta grondante sangue. L'offciante, dopo essersi dipinto il volto col sangue, correva a lavarsi presso il fiume. Nel frattempo, il cadavere veniva percosso con dei bastoni per poi essere lasciato a carbonizzarsi sul fuoco. Questa versione, come la precedente, rappresentava la forma attenuata dell'originale rito cannibalico.
 Secondo alcune fonti il sacrifico costituiva un'eccezione nella ritualità dedicata alla fertilità. Tale rito cruento si svolgeva unicamente nel caso in cui un membro del popolo fosse stato visitato in sogno dalla Stella del Mattino. La contemplazione di alcuni corpi celesti, da parte dei sacerdoti, avrebbe confermato la necessità di effettuare il sacrificio.




California. Gli indiani della California attuavano atti cannibalici solo se costretti, ossia durante assedi o carestie. Noto risulta l'episodio di antropofagia che si verificò a carico dei Wappa assediati da una tribù vicina al loro accampamento.
 Presso i Nishiman il cannibalismo appariva in una fiaba, ove una coppia di sposi uccideva gli indiani per poi pestarli in un grande mortaio al fine di frollarli più rapidamente.
 Una forma di cannibalismo rituale era però presente in una popolazione stanziata nei pressi di Lorette, dediti a una cerimonia antropofaga finalizzata a onorare i nemici particolarmente coraggiosi e per acquisirne le doti. La carne ingerita era per lo più un quantitativo simbolico.

domenica 8 novembre 2015

"Bone Tomahawk" di S. Craig Zahler.






     Purvis e Buddy ripuliscono i corpi di una famiglia di pionieri che hanno appena sterminato. Messi in fuga dall'avvicinarsi di alcuni uomini a cavallo, i due si inoltrano verso le rocce, quasi scomparendo tra l'alta vegetazione. Improvvisamente si ritrovano in un paesaggio costellato di teschi, sia umani sia animali, che porta fino a un cimitero. Purvis non si sente tanto sicuro ad attraversare un luogo sacro ai Nativi, ma Buddy lo pungola affinché si comporti da uomo civilizzato e non come quei selvaggi. Il suono di un misterioso strumento precede il massacro di Buddy.
 Undici giorni dopo, a Bright Hope, Purvis seppelisce la borsa con la refurtiva. La cittadina è quasi una città fantasma, visto che tutti gli uomini sono cowboy coinvolti nella guida delle mandrie. Tra i pochi rimasti vi è il vice sceriffo "di riserva" Chicory (Richard Jenkins), proprio colui che vede Purvis cambiarsi di abito e seppellire il resto della roba. Insospettito dal racconto del suo vice, lo sceriffo Franklin Hunt (Kurt Russell) decide di recarsi al "Learned Goat", il saloon locale, per parlare con il forestiero.  
 Dopo averlo ferito e arrestato, lo sceriffo recupera la merce, la quale risulta costellata da  numerose tracce di sangue. A curare il prigioniero viene chiamata Samantha O'Dwyer (Lili Simmons), assistita dal vice Nick che resta nell'uffcio dello sceriffo per il turno di notte.
 Quella stessa notte, alcuni Nativi antropofagi irrompono in una stalla, uccidono il custode e ne dilaniano il corpo. La mattina dopo l'ufficio dello sceriffo risulta completamente vuoto. Sono spariti la signora O'Dwyer, il vicesceriffo Nick e anche il prigioniero.
 Grazie a un'esperto e a una freccia rinvenuta nell'uffico, lo sceriffo scopre che i responsabili sono dei pellerossa che vivono nelle caverne. Esseri che "stuprano e mangiano le loro stesse madri". Questi trogloditi abitano nella "Valle dei Famelici", presso la Catena Occidentale. Lo sceriffo organizza quindi una squadra di recupero formata da Arthur O'Dwyer (Patrick Wilson), marito di Samantha e claudicante per un trauma alla gamba, da John Brooder (Matthew Fox), un ex soldato e cacciatore di indiani, e da Chicory.



 L'inizio di "Bone Tomahawk" è fatto di quella lentezza che serve ad assorbire l'umore dell'ambiente. I suoi odori e i suoi suoni. Il profumo della zuppa di mais come il rumore dei tacchi degli stivali. Una sorta di omeostasi. Omeostasi che riesce alla perfezione, sia grazie ai dialoghi sia grazie a una fotografia in grado di parlare nei momenti più adeguati, trasformando il paesaggio in membro attivo, ma mai oppressivo attraverso effetti snaturanti.
 Come sempre la natura e un'incubatrice dove l'embrione umano si sviluppa e scalpita. Il viaggio in "Bone Tomahawk" affronta tutti gli elementi tipici delle opere di Louis L'Amour. Il deserto diviene la fornace in cui quelle anime vengono temprate e forgiate. Incubatrice quindi di riscatto, ma anche fonte di sfida. Sfida verso l'ambiente, gli altri , ma soprattutto verso i propri limiti e il proprio dolore.



 S. Craig Zahler dimostra di essere un maestro nel cambiare il corso degli eventi. Tutto accade improvvisamente e ci si ritrova in un cannibal movie. Il Louis L'Amour cede il passo al primo Deodato e lo fa in un modo veramente crudo. Sconvolgente.
 Questi selvaggi non sono dei semplici uomini primitivi come quelli che vedevamo nei film di Lenzi e Deodato, questi non sembrano neanche umani. Sembrano quelle creature mitologiche di cui i Greci popolavano le terre dell'Asia Minore. Non sono esili Filippini che hanno dalla loro un istinto violento ipertrofico. Questi sono la morte che cammina tuonando con gli arti e con la gola. I loro passi, come lo squillo di tromba che annuncia l'ingresso di un re malato, precedono degli esseri mastodontici. Muscolosi. Dei colossi che annientano quasi l'istinto di sopravvivenza.
 Tutto accade improvvisamente. Improvvisamente ma nel momento giusto. Occhio quindi a giudicare un certo rilassamento. Ciò è solo per disarmarvi. Per farvi abbassare la guardia. Alla fine il colpo arriva.



mercoledì 4 novembre 2015

Ken Parker "Santa Fè Express" n°18






 Santa Fè, New Mexico. Ken Parker e alcuni soldati aspettano alla stazione l'arrivo del treno che da Topeka porta le paghe dei militari. L'attesa sfianca i soldati che decidono di bagnarsi il becco allo spaccio vicino. Ken Parker e il messicano Emanuel non sanno ancora che il ritardo del treno tenderà ad aumentare...




 Grazie a Dio il deserto non è poi così deserto!




 Nel West però si soccorre solo se stessi...



 I soldati raggiungeranno i poveri civili troppo tardi per poter assicurare alla giustizia i criminali, ma si metteranno subito sulle tracce dei fuorilegge, grazie all'intuito di Ken Parker...



o magari alle conoscenze criminologiche di O'Bannion!




Forse il soldato ha ragione, perché alla fine i western non sono solo inseguimenti e sparatorie. Altrimenti le rapine che si fanno a fare?



La serie "Star Trek" e il western






     "Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell'astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all'esplorazione di strani, nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima." (James Tiberius Kirk)
 Cosa c'è di più western di una frase del genere? La fantascienza è satura di elementi western. L'esplorazione di nuovi mondi, l'eroe che si oppone ad un potere tirannico, il sopravvento dell'intelligenza umana su quella "non-umana", ma anche il riconoscimento del valore culturale e sentimentale degli "alieni", sono tutti elementi presenti nel western.
 La serie Star Trek rende omaggio al genere western attraverso quattro deliziosi episodi tra dramma e parodia.




  "Spectre of the Gun", diretto da Vincent McEveety e scritto da Lee Cronin, è il primo episodio della tersa stagione della serie classica di Star Trek.  E stato trasmesso negli Usa il 25 ottobre 1968 e in Italia, con il titolo di  "Lo spettro di una pistola", il 21 febbraio 1980.

 Il comandante James T. Kirk (William Shatner) ha ricevuto l'ordine di stabilire un contatto con i Melkotiani. Mentre l'Enterprise si avvicina al pianeta Melkot, una sonda intima telepaticamente all'equipaggio di allontanarsi. 
 Kirk decide di sbarcare ugualmente sul pianeta Melkot, lo seguono l'ufficiale scientifico Spock (Leonard Nimoy), il tenente comandante Montgomery Scott (James Doohan), il dottor Leonard McCoy (DeForest Kelley) e  il guardiamarina Pavel Andreivich Chekov (Walter Koenig). Giunti sul pianeta, gli esploratori trovano condizioni ambientali completamente diverse rispetto alle loro aspettative. Il guato del tricoder spinge il comandante Kirk a decidere il rientro immediato della squadra sull'Enterprise. Purtroppo anche il comunicatore non dà segni di vita.
 La loro presenza viene rilevata dai Melkotiani che decidono di "eliminarli" utilizzando una modalità estrapolata dalla mente del comandante Kirk, su cui basare l'illusione psichica che imprigionerà le loro menti. Illusione psichica che assume le sembianze della mitica Tombstone del famigerato 26 ottobre 1981.




 Non è solo il paesaggio ad essere mutato, anche le armi non sono più le stesse. I  phaser sono stati sostituiti da dei revorver. Un'altra sorpresa sarà ben più traumatica per Kirk e i suoi uomini. In questa rappresentazione la morte è reale, e come se non bastasse loro sono la fazione dei Clanton. I Clanton, secondo la storia, non fanno una buona fine...




 La fotografia ricorda molto il "Gunfight at the O.K. Corral" di John Sturges. La scelta della modalità di morte, da parte dei Melkotiani, verra utilizzata anche nel film Ghostbusters, attraverso la "scelta del distruttore".






 "The Paradise Syndrome",  diretto da Jud Taylor e scritto da Margaret Armen, è il terzo episodio della terza stagione della serie classica di Star Trek. E' andato in onda negli Usa il 4 ottobre 1968 e in Italia, con il titolo di "Il paradiso perduto", il 7 febbraio 1980.

Il comandante Kirk, l'ufficiale Spock e il dottor Leonard McCoy giungono in un pianeta che, a mezza galassia di distanza dalla terra, presenta una flora identica a quella terrestre. I tre, appena teletrasportati, vengono infatti investiti dal profumo di caprifoglio misto a quello del fior d'arancio. Ma non è solo la flora a destare il loro interesse...




 La squadra scopre una struttura costituita in una lega sconosciuta e le cui iscrizioni risultano incomprensibili. La natura di quell'opera fa sì che Spock la ritenga frutto di una cultura superiori o pari alla loro. Il comandante Kirk, incuriosito dalle affermazioni di Spock, decide di raggiungere il più vicino centro abitato, rilevato grazie alla strumentazione dell'ufficiale scientifico.
 Non possono che rimanere stupiti innanzi a questo tipo di insediamento...




 Gli abitanti sono un misto di Navajo, Mohicani e Delaware. I tre ritengono che sia inutile avvertire quella gente di un asteroide che li polverizzerà entro un paio di mesi. Non capirebbero e la loro presenza non farebbe che aumentare la loro confusione. Quell'ambiente cosi pacifico inebria quasi il comandante Kirk. La sidrome di Tahiti, come ci spiega il dottor McCoy, è diffusa tra i viaggiatori e gli esploratori, quando si trovano innanzi a paesaggi idilliaci.
 Tornato a osservare la struttura misteriosa, il comandante Kirk penetra all'interno di essa, a causa di un passaggio segreto, ed è investito da un raggio improvviso. La sua assenza viene notata da Spock e McCoy che lo cercano inutilmente. Decidono quindi di risalire sull'Enterprise per tentare di deviare l'asteroide, salvando quindi la vita a Kirk e alla popolazione di quel pianeta.
 Kirk riprende nel frattempo conoscenza, ma non la memoria. Uscito dalla misteriosa struttura, viene scambiato per una divinità da due ragazze del luogo, la sacerdotessa Miramanee (Sabrina Scharf) e la sua aiutante, che lo portano al villaggio.
 Riuscirà Spock a deviare la traiettoria dell'asteroide?






"A Fistful of Datas", diretto da Patrick Stewart  e scritto da Robert Hewitt Wolfe, è l'ottavo episodio della sesta stagione della serie Star Trek - The Next Generation. E' stato trasmesso negli Usa il 9 novembre 1992, e in Italia, con il titolo di "Per un pugno di Data", nel 1996.

L’Enterprise, entrata nell’orbita di Deinonychus VII, dovrà attendere 48 ore per l'arrivo della nave da rifornimento Biko. L'ingegnere capo Geordi La Forge (LeVar Burton) e Data (Brent Spiner), con il permesso del Capitano Jean-Luc Picard (Patrick Stewart), decidono di elaborare un'interfaccia di emergenza per l'androide.
 Il capo della sicurezza Worf (Michael Dorn) non è stato così fortunato. Liberato dai suoi doveri, egli è costretto a partecipare a una rappresentazione western, insieme al filglio Alexander (Brian Bonsall) e al consigliere Deanna Troi (Marina Sirtis), sul ponte ologrammi. I tre hanno il ruolo di uomini di legge nella selvaggia città di  Deadwood, nel Sud Dakota del XIX secolo.




 Il compito dello sceriffo Worf è quello di arrestare Eli Hollander, il "Macellaio di Bozeman", responsabile dell'assassinio di 23 uomini. Lo sceriffo riesce ad arrestare il fuorilegge e attende l'arrivo dello sceriffo federala degli Stati Uniti, per condurlo a Rapid City per il processo.
 Un'oscillazione di energia, verificatasi durante l'esperimento di interfaccia di Data e La Forge, complicherà notevolmente la situazione. Soprattutto a causa dell'intervento di una versione particolare di Data...




 "North Star", diretto da David Straiton e scritto da David A. Goodman, è il nono episodio della sesta stagione di Star Trek: Enterprise. E stato trasmesso negli Usa il 12 novembre 2003 e in Italia, con il titolo di "Cowboy dello spazio", l'8 maggio 2005

 Quattro uomini cavalcano tra le vie di una cittadina. L'uomo in testa sistema un cappio ad un albero, per poi stringerlo al collo di un secondo cavaliere. Un terzo uomo spara un colpo di pistola, facendo scappare il cavallo e lasciando l'uomo a scalciare. La colpa dello "Skag" linciato è stata quella di sparare a un uomo, indipendentemente dalla legittima difesa.




 Il capitano Archer (Scott Bakula), l'ingegnere capo Tucker (Connor Trinneer) e il primo ufficiale T'Pol (Jolene Blalock) si materializzano vestiti secondo lo stile western. Il pianeta, popolato da 6.000 abitanti, presenta uno stile di vita che corrisponde a quello terrestre del 1860. Secondo la vulcaniana T'Pol, il DNA degli abitanti è umano, questo porta il capitano a chiedersi come questi umani siano giunti originariamente su questo pianeta. Tucker e T'Pol si dirigono verso un avamposto popolato da un migliaio di individui alieni, gli unici presenti sul pianeta. 

  


 Archer decide di continuare l'ispezione del villaggio. Grazie a Bethany (Emily Bergl), un'insegnante clandestina che istruisce gli Skagaran, il capitano scopre che gli Skagaran prelevarono alcuni terrestri e li portarono su quel pianeta, costringendoli a lavorare per loro. Il suo interesse per i Skagaran non sfugge allo sceriffo MacReady (Glenn Morshower) e al suo vice Bennings (James Parks), che lo omaggeranno di una particolare attenzione.
 Episodio con citazioni da Mezzogiorno di fuoco ma anche da Walter Hill




Il legame, tra i personaggi di Star Trek e il western, non si limita unicamente alla loro partecipazione a questi episodi della famosa serie fantascientifica.  Prima di Star Trek i nostri idoli hanno recitato in Gunsmoke. Gunsmoke è un western drama,  diretto da Norman Macdonnell e scritto da John Meston, trasmesso sul canale CBS dal 1955 al 1975. Con le sue venti stagioni, Gunsmoke è una delle serie più longeve, seconda solo a I Simpson.




Da sinistra a destra, dall'alto verso il basso: DeForest Kelley, come Will Bailey, nell'episodio "Indian Scout" della prima stagione (1956); James Doohan, come Davit, nell'episodio "Quint Asper Comes Home" dell'ottava stagione(1962); Leonard Nimoy nella sua quarta e ultimo ruolo in questa serie, qui come John Camminando Fox, nell'episodio "Treasure of John Walking Fox" dell'undicesima stagione (1966); e William Shatner, come Fred Bateman, nell'episodio "Quaker Girl" della dodicesima stagione(1966). (da www.ussrepublic.com)





lunedì 2 novembre 2015

Emanuela Monaco - Manitù e Windigo. Visione e antropofagia tra gli algonchini.




     Dopo il mio articolo sul Wendigo, ho deciso di pubblicare per intero la recensione del libro di Emanuela Monaco, utilizzato nell'articolo stesso per delineare l'analisi antropologica del fenomeno wendigo. Recensione completa in cui risultano presenti elementri trascurati nell'articolo precedente, come l'istituto Midewiwin, mentre vengono solo accennati alcuni particolari dello studio sulla figura del wendigo. Il saggio della Monaco risulta fondamentale anche per comprendere l'evoluzione della visione puberale dopo il contatto tra gli Algonchini e l'uomo bianco.






     "Manitù e Windigo. Visione e antropofagia tra gli Algonchini" ( 216 pagine, II ed. 1996. collana "Chi Siamo", Bulzoni Editore) riunisce in un unico volume quattro lavori dell'antropologa  Emanuela Monaco, i quali costituiscono le successive tappe di un unico progetto di ricerca, cioè quello di avvicinare le culture indigene  nord-americane attraverso l'analisi della visione puberale, fonte per i giovani per l'acquisizione degli spiriti guida.
La visione puberale era un elemento fondamentale, in almeno la metà delle popolazioni native del Nord America,  per l'acquisizione di quei tratti caratteristici della maturità.
 All'età di quattordici-quindici anni il giovane indiano dipingeva di nero il suo viso e si allontanava dal villaggio. Attraverso un periodo di digiuno, egli liberava la sua coscienza, divenendo soggetto a visioni. Queste visioni, che potevano insorgere durante la veglia o durante il sonno, gli permettevano di entrare in contatto con entità super-umane. La forma che egli vedeva per prima o che vedeva più spesso, costituiva il suo manitù guardiano. Poteva essere un animale o una forma inanimata.
 La visione dello spirito guardiano era fondamentale per indirizzare l'esistenza dell'individuo e il suo ruolo all'interno della tribù. Egli riceveva attraverso la forma assunta dalla visione specifiche qualità e prerogative. La visione di un animale indicava che il ragazzo avrebbe acquisito le capacità tipiche di quell'animale. La robustezza dell'orso, la capacità di cacciare di un lupo, ecc. Stesso dicasi per gli oggetti. Se l'indiano avesse avuto la visione di una parete rocciosa ciò avrebbe indicato una notevole resistenza agli insulti di frecce e lame.
 La ritualità della visione puberale accomunava quindi gli individui nell'acquisizione del ruolo di adulti, ma contemporaneamente li differenziava attraverso qualità e prerogative differenziate. La visione puberale era anche una forma di contrasto alla stratificazione sociale, che risulta invece diffusa in altre società del passato. Una forma di meritocrazia disciplinata dal rito, non basata quindi su capacità dimostrate ma basata in realtà sull'efficacia della visione puberale e sull'azione del manitù che avrebbe sempre guidato e aiutato l'individuo. La stabilità nel tempo di questo legame tra individuo e manitù veniva ben rappresentata dal tatuaggio, forma di vestizione permanente attraverso cui si evidenziava l'unione nata dalla visione puberale.
 Altra rappresentazione di questo legame tra l'individuo e il suo spirito guida è il sacchetto di medicina. La medicina viene raffiguarata sempre attraverso una visione. L'indiano raccoglie quindi la pianta indicatagli e la conserva in un sacchetto come amuleto Solo il suo proprietario conosce la natura della sua medicina e solo lui può toccarla. Il ragazzo doveva poi cercare l'animale comparso nella visione, ucciderlo e conservare una parte di quella creatura. Ciò avrebbe costituito per sempre il suo totem.
 Dall'importanza del digiuno, come fonte della visione puberale, deriva l'educazione al digiuno. I bambini venivano abituati al digiuno a partire dai quattro anni di età, prima rimanendo senza acqua e cibo per un giorno e poi aumentando fino a quattro giorni. Durante la pubertà il digiuno era prolungato il più possibile al fine di ottenere una visione. Erano i genitori che decidevano quando il proprio figlio avesse dovuto effettuare il rito della visione puberale, rito che era obbligatorio per i maschi e volontario per le ragazze. Entrambi annerivano il proprio volto, ma se le ragazze vagavano da sole poco distanti dal villaggio, i ragazzi sostavano su pedane costruite sugli alberi o in altri tipi di ripari.
 L'acquisizione del legame con lo spirito guida dava origine a qualità specifiche riconducibili alla tipologia di manitù con il quale tale legame veniva istaurato, ma bisogna specificare che tali capacità non derivavano da un trsferimento soprannaturale bensì da una forma di apprendistato. La visione dispiegava all'adolescente il sapere specifico ed esclusivo inerente una determinata attività.
 La condivisione di uno stesso spirito guida non corrisponde alla stessa visione e quindi all'acquisizione delle stesse capacità acquisite. Il legame tra spirito guida e indivisuo è sempre specifico e irripetibile, così come risulta essere il destino dell'individuo e il suo ruolo all'interno della società.
 L'assenza di visioni rendevano l'individuo privo di un ruolo definibile all'interno della tribù e contemporaneamente inducevano in esso un comportamento vile, derivante dalla consapevolezza di essere suscettibile agli eventi avversi, non usufrendo di uno spirito guida. Contemporaneamente, un individuo a cui venivano elargite ricche visioni poteva eccellere in moltissime attività, legate sempre alla natura del suo spirito guida. Questo dono poteva comunque indurre una forma di narcisismo tale da portare l'individuo a  ritenere le sue capacità come doti frutto del proprio essere divino e non conseguenza dell'apprendistato concesso dall'entità super-umana. L'uomo diveniva quindi condannato a fallire nel suo agire come conseguenza della non accettazione della propria umanità. L'incarnazione continua nel tempo poteva sì realizzarsi, ma era in realtà un evento eccezionale limitato solo ai grandi visionari.
 Potevano verificarsi anche incarnazioni della divinità ma circoscritta nel tempo. Tale trasformazione poteva realizzarsi in determinati momenti, come ad esempio in guerra o nei riti sudatori, ma anche in una forma che potremmo definire di "criptobiosi". Negli inverni rigidi l'indiano poteva abbandonare la sua forma umana e acquisire quella del manitù, annullando la componente umana. Questa trasformazione, finalizzata a conservare la vita del Nativo, rientra nella protezione elargita dallo spirito guardiano.





 Nel quarto capitolo viene analizzato l'istituto Midewiwin e il suo rapporto con la visione puberale. Hickerson afferma che il Midewiwin, o Loggia di Medicina, era costituito da un insieme di cerimonie officiate da un sacerdozio organizzato, generalmente maschile, che aveva sia il potere di curare sia il potere di uccidere attraverso particolari erbe e rituali. La casta sacerdotale risulta particolarmente chiusa, accessibile solo dopo un percorso iniziatico, suddiviso in gradi, e i cambio di oggetti di valore.
 Si ha quindi un passaggio da un percorso iniziatico istituzionalizzato, ma vissuto in modo individuale, a un percorso standardizzato e condiviso. Contemporaneamente si ha il passaggio da un'apprendistato libero, attraverso il rapporto diretto con lo spirito guida apparso nella visione puberale, a una iniziazione lucrosa. La spiritualità diviene quindi monopolio di una casta. Midewiwin colma i limiti delle visioni, ma contemporaneamente sono le stesse visioni, individuali o degli sciamani, a indirizzare verso Midewiwine e a dar a questo autorità. Ciò dimostra che le visioni continuano ad avere un ruolo fondamentale, se pur integrate dal Midewiwi. In essa l'iniziato vedeva infatti il manitù, ma lo vedeva tramite la rappresentazione attuata da un soggetto già iniziato, schermo quindi tra l'individuo e gli spiriti. Il digiuno, ovvero la privazione del cibo, veniva sostituito dal pagamente, ovvero attraverso la privazioni di beni.
 Quella "meritograzia", di cui abbiamo parlato inizialmente, cede il passo alla stratificazione sociale, poiché grazie al Midewiwi l'agiatezza economica diverrà fonte di legame con i manitù, e quindi base per l'assunzione dei più alti gradi iniziatici.
 Tale istituto viene considerato una conseguenza del contatto con l'uomo bianco, una forma di mediazione tra l'antica e la nuova realtà. A prova di ciò vengono elencati una serie di punti.